Erano
partiti all'alba, le donne alla guida dei carri e gli uomini in sella; l'aria
andava intanto sempre più rischiarando e il sole si alzò.
Guardando
il vecchio Ivan e la sua gente, Raniero si chiedeva se sarebbe stato mai
possibile un giorno superare quella cortina di reciproca diffidenza, lui
che conosceva perfettamente la violenza e l’intolleranza.
"Non
ho mai visto uno straniero -la voce di Ivan lo distrasse dalle sue riflessioni-
cavalcare senza sella, alla maniera dei Manush."
"Manush?..."
domandò il ragazzo.
"OH!
- sorrise il vecchio, poi si schiarì la gola - E' così che noi chiamiamo noi
stessi: Manush o Rom… ossia Uomini." aggiunse con un sorriso
schivo.
Il
vecchio capo adoprava nel parlare un singolare miscuglio di accenti, come di
gente forestiera che viene da lontano, ha camminato molto e appreso
altrettanto.
"Siamo
maniscalchi." spiegò Raniero.
"Comprendo.
I vostri cavalli sono di buona razza."
"Il
mio cavallo è cresciuto con me." rispose,
lusingato dall'apprezzamento; quel giudizio, espresso da chi per cultura
aveva con i cavalli un particolare ed esclusivo rapporto, era per lui sincero
motivo d'orgoglio.
In verità, anche i manush montavano cavalli di razza, si sorprese
a pensare: Rames, Menes, Pthos, giovani irrequieti come gli animali che
cavalcavano. Raniero li guardò uno per
uno: Pthos, dalla giovinezza esuberante, Nemes, bello, gentile e dagli occhi
nutriti di sogni, Rames, dai capelli color rame e lo sguardo inquieto ed
irrequieto.
Quasi
avesse letto nel suo pensiero, il vecchio spiegò.
"Noi gitani siamo come il vento che soffia e va. Senza confini, senza
patrie né terre da amare."
"Senza
patria! - interloquì Spaccamontagne, che fino a quel momento non aveva aperto
bocca se non per qualche sbadiglio - Dicono che veniate da terre lontane per
andare in altre terre lontane e poi cercare
terre ancora più lontane da cui partire ancora, ma… da una terra siete
pur partiti!"
"Sì!
– gli occhi del vecchio sfiorarono l'orizzonte lontano con sguardo assorto, poi
conversero sul giovane - La mia gente vaga come le dune del deserto,
perché proprio dal deserto siamo arrivati…. Mille e più anni or sono.
Siamo giunti dalla terra dei Faraoni, all'ombra delle Piramidi."
"Chi
sono codesti Faraoni? – chiese con
interessato candore Spaccamontagne - E quale albero è codesto Piramide alla cui
ombra riposano i tuoi antenati? Non ne ho mai inteso parlare."
"Ah,ah,ah...- non riuscì a trattenersi Raniero - Le
Piramidi non sono alberi, ma monumentali sepolcri di Uomini-Dei… I Faraoni, che
erano un tempo i vostri Sovrani… E' così, Ivan?"
"E'
così!" assentì lo zingaro con accento
stupito.
"E
voi - riprese Spaccamontagne - siete discendenti di quegli uomini-dei che
chiamate Faraoni?"
"I
Faraoni - riprese Ivan - erano i Sovrani d'Egitto.”
“… e codesti Faraoni – continuava ad insistere Spaccamontagne cui qualcosa non
quadrava – sono anche i Sovrani di Ivan e della sua gente?”
“Oh!…
- sorrise il vecchio; un sorriso che gli distese le labbra rendendo ancor più
grinzosa la pelle arsa da continua esposizione al sole – I Faraoni erano i Re
dei nostri antenati. – spiegò, poi aggiunse - Thut è stato il
nostro Re… il capo di noi Manush, o Gitani, come ci chiamate voi
stranieri… - sorrise ancora, mostrando una chiostra di denti ancora quasi
intatta - O Giziani o anche Tzigani, perché giunti da terre
egiziane..."
"Ma - lo interruppe ancora Spaccamontagne – se voi non avete una
meta.."
"Venezia
è la nostra prossima meta. - fu lo zingaro ad interrompere lui, questa volta -
Ma non sarà l'ultima. Dopo Venezia ne verrà un'altra e poi un'altra ed un'altra
ancora. A Venezia si incontreranno tutte le tribù Manush per eleggere il
nuovo capo, ora che Thut, l'ultimo Re, è tornato ai Padri."
"Un
nuovo Re?" fecero in coro i due amici.
"Pthos.
- Ivan indicò il giovane che gli cavalcava davanti dall’aspetto nobile, lo
sguardo sereno, il profilo incisivo, che nell'insieme gli conferivano una forte
rassomiglianza con i busti degli antichi Signori del Nilo delle pagine di
vecchi libri di storia visti di sfuggita quando era ancora al castello. – Sarà
lui il nuovo Re. Pthos è mio figlio adottivo. - Gli occhi del vecchio
brillarono di orgoglio – E’ generoso, coraggioso e giusto: tutte qualità
necessarie ad un Re e Pthos è già Re
anche nel nome."
"Pthos?
– domandò Raniero - E' questo il nome?"
"Dimora
dello Spirito di Ptha, significa il suo nome."
"Ptha? Era il Dio dei vostri Antenati?”
"Il
Dio degli Dei! – esclamò con accento devoto il vecchio - Ptha, Padre
Creatore, è il nostro Dio."
"Ma...
ma allora… voi siete pagani?" si scandalizzò Spaccamontagne.
"Il
Dio di Cristo o il Dio di Maometto o il Dio Ptha è sempre Lui: il Dio dei
Cieli.- pacata e serena, la voce del vecchio Ivan sorprese Raniero e parve
tranquillizzare l’ex-bandito - Una è la sua Legge.”
Raniero
fissava il vecchio con stupita
ammirazione: sante e giuste, gli parvero le sue parole. Proprio come quelle di
quei santi monaci che sempre più spesso passavano per il castello a spiegare la
Parola di Dio.
“Noi
Manush – riprese il vecchio, mettendo in fuga le considerazioni del
ragazzo - osserviamo quella Legge dal tempo dei tempi e non riconosciamo altro
capo ed altra Legge."
E
mentre parlava, con quel linguaggio breve ed essenziale, lucido ed estremamente
efficace, frammisto di pause e toni, ora pacati ed ora intensi, il vecchio
zingaro cercava l'orizzonte che gli fuggiva davanti proprio come le mete che
rincorreva.(continua)
brano tratto dal libro "IL PATTO"
di Maria Pace