L'EGITTO dei FARAONI




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DJOSER e il ritorno di Hapy

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ANTICO EGITTO - La Scrittura... La magia dei Geroglifici

mercoledì 23 luglio 2014

NEL CANTIERE della PIRAMIDE di KHAFRA (Kefren)






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La stagione Akhet era giunta da più di due mesi, ma lo straripamento delle acque non accennava a diminuire e il Paese era diventato una sola grande valle allagata. Le campagne avevano spopolato e le masse di contadini avevano passato il Nilo per lavorare alla costruzione del complesso funerario del Faraone.
Coordinare l'impiego di tanta gente non era facile, pensava Djoser, osservando da lontano le attività del  cantiere. Per i funzionari governativi doveva essere faticoso e difficile quanto il lavoro stesso.
Le cose che bisognava fare affinché il lavoro procedesse spedito erano tante: evitare lunghe  interruzioni, procurare l'arrivo dei blocchi al momento giusto, rinnovare in tempo utile gli arnesi rotti, predisporre il ricambio delle squadre di operai. In realtà, nella costruzione di quei giganteschi edifici, solo una piccola  parte  di  operai   specializzati veniva occupata a tempo pieno. La massa di contadini e soldati, una moltitudine di persone orgogliose  di contribuire   con il proprio lavoro all’Immortalità del Faraone, era impiegata solo durante la piena.
Djoser attraversò il campo. Brulicava di gente operosa e divisa in squadre. C'era la "Squadra Valente", che misurava blocchi e  smussava angoli. C'era quella del “Fiume Sacro”, che accatastava legna e fabbricava utensili e c'era la squadra del "Toro Vincitore", che martellava e tagliava, adoprando larghe seghe di pietra e rame. Altre squadre trasportavano cibo, acqua, argilla; altre ancora spostavano blocchi o li trasportavano su rampe. C'erano quelle che fissavano corde o numeravano massi e c’erano molte altre ancora.
Djoser aveva tanti amici fra quella gente; gente in gamba, capace e fidata: architetti, riproduttori d’immagini, tagliatori di pietre, creatori di gioielli. Insieme, costituivano una piccola comunità in seno alla società. Persone reciprocamente legate da principi di solidarietà e appartenenza; persone pronte ad aiutarsi, a sostenersi ed a sostenere gli speciali privilegi che il vivere all’ombra delle Piramidi concedeva loro. Djoser li conosceva quasi tutti. Conosceva i loro nomi, le famiglie, le vicende ed era diventato uno di loro.

"Djoser, sei tornato?"
Qualcuno lo chiamò dall'alto di una delle rampe, agitando le braccia per attirare la sua attenzione; Djoser si girò in quella direzione.
Le rampe, che dall’angolo inferiore salivano verso l’alto, avvolgevano a serpentina la Piramide in costruzione.
Il ragazzo sollevò il capo; era già così alta da oscurare il sole.
"Sono tornato." rispose; l'altro si affacciò dalla piattaforma della rampa. Dietro di lui un gruppo di uomini spingeva un pesante masso. Larga quasi trenta cubiti, per permettere alle slitte che procedevano nei due sensi di non ostacolarsi, era una vera e propria strada. La pendenza, piuttosto dolce e controllata, di poco superiore ai quattro gradi, consentiva alle slitte di non scivolare indietro ed evitava un lavoro eccessivamente gravoso agli uomini addetti al traino. Sul lato esterno un muro di pietrisco e mattoni crudi faceva da parapetto.
Il   ragazzo   attraversò di corsa     il primo tratto, il più affollato,
ingombro di uomini, utensili e blocchi di pietra numerati. Ognuno di quei lastroni recava scritte per facilitarne la collocazione.
"Sei stato via più di sessanta giorni. Ero in pensiero. – riprese l’uomo, continuando ad agitare le braccia – Temevo ti fosse successo qualcosa. Dove sei stato? - sui quaranta anni, alto, il fisico asciutto e il fare autoritario, era certamente un caposquadra - Qui tutti chiedono di te. Dov’é Djoser? Quando torna Djoser? Perché non torna Djoser… Dove sei stato in tutto questo tempo?"
"Non  lontano da qui." rispose   evasivo il ragazzo percorrendo la seconda rampa. Man mano che saliva e che la costruzione svettava verso l’alto, diminuiva lo spazio e il numero degli uomini.
Djoser raggiunse la terza rampa e il caposquadra.
Visto da quell’altezza il cantiere sembrava un termitaio allo scoperto, vivace e movimentato. Da lassù si vedeva bene ogni cosa: il tempio a Valle quasi ultimato, le ultime assise di pietre della Strada Sacra, la Sfinge. Si vedeva bene anche l’intricato dedalo di viuzze che correvano serpeggiando intorno ai magazzini reali, ad occidente del canale. Più lontano, il Nilo si snodava sinuoso ed impetuoso a causa della Piena che non accennava a calare.
"Salute a te, Siptha, che rivedo volentieri." volse le spalle al fiume e salutò con le braccia all'altezza delle spalle.
"Ti rivedo con piacere anch’io, mio giovane amico. Ma non hai risposto alla mia domanda. Dove sei stato? Qui sentono tutti la tua mancanza. Alcune cose non vanno bene, quaggiù!"
"Ci sono cambiamenti qui, vedo."  Djoser si guardò intorno.
"Il funzionario Hatmut mi ha mandato questa squadra, ma è piuttosto fiacca - si lamentò - e il lavoro procede a rilento.”
"Vedo   laggiù Amosis.  - replicò il ragazzo - Lui è un lavoratore instancabile e molto capace, ma non vedo suo fratello Thotmosis."
"Thotmosis oggi non c'è. - spiegò il caposquadra - Il suo asino è malato e lui ha preso due giorni di permesso per curarlo.”
“La sua mancanza si fa sentire!” osservò il ragazzo.
“Già! Nessuno è capace di poggiare un blocco accanto all'altro con la stessa precisione, in modo da non permettere ad una sola pagliuzza di starci fra le fessure."
Anche Djoser conosceva ed apprezzava, come tutti, la competenza di Thotmosis, il quale non avrebbe certo approvato il lavoro degli operai della nuova squadra.
"Guarda qui, Djoser. Guarda in che modo maldestro sono state posate queste pietre.”
“Già! Non ce n’è una sola che combaci con l’altra." assentì il ragazzo, con accento di disapprovazione.

(continua)

brano tratto da DJOSER e lo Scettro di Anubi"  di Maria PACE
editrice MONTECOVELLO

si può richiedere il libro all'Editrice - in libreria oppure
AUTOGRAFATO presso l'Autrice

mariapace2010@gmail.com



brano tratto da DJOSER e lo Scettro di Anubi"  di Maria PACE
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