L'EGITTO dei FARAONI




DJOSER e Lo Scettro si Anubi

DJOSER e I LIbri di Thot

DJOSER e I Giardini di Osiride

DJOSER e il ritorno di Hapy

ANTICO EGITTO - Faraoni e Regine

ANTICO EGITTO - Credenze Religiose

ANTICO EGITTO - La Scrittura... La magia dei Geroglifici

martedì 23 luglio 2013

... MEANDRI...






"La Conoscenza, Djoser, allievo di Ptha, è la capacità di sollevare il velo di un mistero che
ne nasconde un altro, senza restarne sopraffatti. Sollevare veli, però, comporta rischi. Tu, Djoser, figlio di Pthahotep, hai paura di osare?"
Djoser osò e la sua mente s'inoltrò ardita in quella del Dio e si confuse con essa; i loro
pensieri si avvilupparono, simili a due cobra attorcigliati.
La prima sensazione che il sangue di Djoser conobbe e acquisì da quella "fusione", fu un senso di gloria, percepito da tutte le Identità che componevano la sua essenza umana. Soprattutto lo
Spirito-Ka e l'Anima-Ba danzavano inebriati. Anche il Cuore-Ib esultava e perfino la l'Ombra-Shut brillava come un sole riflesso in uno stagno, tanto era lo Splendore all'interno del Signore del Mondo-di-Sotto. Una meraviglia infinita. Una purezza totale. Una generosità ed una tenerezza incalcolabili.
Comprese perché Ka-beut, la Dea-Freschezza, avesse scelto di essere Sua figlia. C'era
una Luce Infinita dentro il Signore delle Tenebre. Una fiamma che splendeva in mezzo al tenebrore con la potenzadel balsamo che libera da ogni dolore e paura; un fulgore grande quanto lo stesso cielo. Ma, proprio proveniente dal centro di tanto fulgore, Djoser sentì
irrompere dentro di lui una sensazione nuova e improvvisa, simile all'aria che cambia per un temporale in avvicinamento o altro grosso evento atmosferico.
Quel cambiamento gli comunicò una pena ed un'inquietudine particolari, poichè erano la pena e l'inquietudine di Anubi: infinite quanto la Sua generosità. Non erano una pena e un dolore qualsiasi. Erano emozioni che non avevano nomi per essere definite. C'era in quel dolore tutto lo sconvolgimento della Palude in cui Horo e Seth si erano scontrati per l'ultima volta; tutta la tristezza del distacco della Celeste-Nut dall'amato Geb, Signore della Terra.
La sua mente non era in grado di contenerle. Barcollò e sentì il corpo diventare rigido e
pesante. Anubi lo sostenne; quasi lo strinse a sé. Immediatamente dopo, i loro pensieri si dissociarono, ma la voce del Dio tenne la mente del ragazzo sospesa nell'aria ancora per qualche attimo, come una goccia di sangue appesa alla punta di un pugnale, prima di staccarsi e dire:
"Vorresti conoscere la storia di Anubi, figlio di Osiride?"
"O Divino Sciacallo! - proruppe il ragazzo - Vuoi degnarti di parlare a Djoser di Questioni Divine?"
"Ascolta! - fece semplicemente Anubi, con quella voce che di certo atterriva i Kau dei
defunti quando li traghettava attraverso le vie della Duat, ma che, pur facendolo rabbrividire, non lo spaventava più - Questa non è la storia che si sente per bocca dei preti. Questa è la storia vera degli Dei. Ascolta!... Ra, Padre degli Dei, la cui sostanza è Fuoco e Calore, cercava una sposa di opposta sostanza che non restasse incenerita dal suo fulgore. Latrovò in Nut, Signora del Cielo. Ra, però, non disdegnava altre compagne... " Djoser ascoltava e taceva.
"In verità, neppure la Celeste Nut era fedele. Al vecchio e bavoso Ra, preferiva Geb, forte
e vigoroso."
Una pausa e un respiro rovente che fece oscillare la fiamma del bivacco, poi Anubi fece cenno
al ragazzo di tornare a sedersi accanto al fuoco e lo stesso fece anch'Egli, accosciandosi dall'altra parte.
"Nut e Geb si accoppiarono per quattro giorni, prima che Ra li separasse."
Ancora una pausa e un profondo rossore sulla faccia di Djoser, non ancora iniziato ai misteri
dell'amore e del sesso. Anubi ebbe un sorriso indulgente che gli distese il volto e gli addolcì l'espressione dello sguardo incandescente e verde.
"Da quell'amplesso nacquero quattro figli. Il primo a lasciare il grembo materno fu
Osiride. Fu subito forte, saggio e coraggioso come suo padre. Un'ora più tardi nacque Seth, ma la sua nascita fu violenta e produsse una dolorosa ferita nel grembo di sua madre, il Cielo, attraverso cui cominciarono a passare fulmini e saette, poi... poi nacque Isis, Dispensatrice della Vita. - recitò Anubi con enfasi - Iside, che scoprì il grano e lo mostrò ad Osiride affinchè ne facesse dono agli uomini. Nacque in un cielo sereno e irrorato di rugiada. E infine... infine nacque Nefty, la più bella fra gli Immortali. Nebthet, era il suo nome ren, a ragione di tanta grazia e bellezza, ma null'altro possedeva: solo grazia e bellezza.
Non la misericordia o la generosità di Iside!"
Lo sguardo del Dio s'incupì; Djoser gli vide scuotere con veemenza il capo, tanto da far
fluttuare vorticosamente l'etra intorno a loro. Il ragazzo si portò una mano alla gola come se stesse soffocando, ma Anubi stese un braccio e l'aria tornò placida, come il tono della voce, quando parlò:
"Tu non sai, però, che anche il vecchio Ra si era accoppiato con Nut durante quei quattro
giorni!"
"Oh!" fu il commento dell'allievo di Ptha.
"Chi può dire con certezza quali dei quattro fratelli siano Figli di Ra e quali di Geb?"
Non poteva giurarci, ma a Djoser parve avvertire una nota di feroce ironia nella voce di
Signore del Mondo-Nascosto. Quasi divertita. D'altronde, se quelle cose accadevano in Cielo...
"Geb, che regnava sull'Egitto, divise il Regno tra i due fratelli: a Osiride toccò l'Egitto
Superiore ed a Seth andò l'Egitto Inferiore. Iside divenne la sposa di Osiridee Nefty fu fatta sposare a Seth. Ma... sai, tu, cosa avvenne?"
Djoser scosse il capo.
"La maledizione di Ra si abbatté su di loro. Sono Figli del Sole, andava domandandosi il
vecchio e rancoroso Padre degli Dei, oppure sono Figli del Fango e della Palude?"
(CONTINUA)
brano tratto dal libro di Maria Pace
"DJOSER e lo Scettro di Anubi" - edito da Societa' Editrice MONTECOVELLO
DA RICHIEDERE PRESSO QUALUNQUE LIBRERIA
posso chiedere se qualcuno è interessato alla lettura? costa quanto una scatola di cioccolatini, ma è più "buono",  poiché sostiene il progetto SAVE THE GHILDREN - NON SIAMO SOLI

sabato 1 giugno 2013

RO-STAU la Porta dell'Oltretomba egizia

IL RO-STAU - La Porta dell'Oltretomba

tratto dal libro "DJOSER e lo Scettro di Anubi" sulla traccia de "IL PAPIRO di TORINO"... il papiro più famoso al mondo.


(seguito)
Fu solo in quel momento che Djoser avvertì una seconda presenza nella stanza e sentì un soffio alitargli sul collo con il bruciore di una fiamma. Capì subito, senza nemmeno voltarsi, che si trattava di Anubi.
Si girò, con animo lieto e gioioso, ma precipitò nello sgomento: l’aspetto del Signore delle Tenebre-Profonde non era quello a lui familiare, gioviale ed un pò ironico. Non era l’aspetto amabile e cortese del compagno di giochi, del maestro sempre indulgente. Il sembiante di Anubi era simile ad una fiamma minacciosa. Gli occhi verdi ed incandescenti parevano pronti ad incenerire, denti e zanne a lacerare, mani ad artiglio a squartare.
Terribile ed Implacabile. Ecco il vero aspetto di Anubi. Così come lo aveva “visto” comparire davanti al principe Kabaef prima che gli succhiasse la vita con quello sguardo tremendo.
Terrorizzato, il ragazzo si girò verso Hapy, ma il Signore del Nilo non c’era più; al suo posto era rimasto un intenso profumo di loto e papiro e una miriade di scintille sempre più trasparenti.
Djoser balbettò qualcosa, ma la mano ad artiglio di Anubi lo toccò sulla spalla e la paura scivolò via dal suo spirito, come l’ombra del pomeriggio sulle case. Il ragazzo abbassò lo sguardo e nel breve battito di ciglia, che a lui parve lungo quanto l’Eternità, la Tenebra si squarciò davanti ai suoi occhi sollevando il primo velo dei Grandi Misteri di Ptha: la Gola del Ro-Stau, la grande Porta dell’Oltretomba.
Djoser la fissò irrigidito dalla paura. Il braccio di Anubi lo guidò e il ragazzo comprese la ragione per la quale lo Sciacallo Divino aveva assunto quel terribile aspetto: tre Demoni, armati di mannaie e coltelli, terrificanti a guardarsi, stavano venendo loro incontro per impedire l’accesso a quella Soglia.
Erano i Sorveglianti del Ro-Stau e al cospetto del Signore del Cammino-Nascosto, pur tra mugugni ed invettive, indietreggiarono. Prima di lasciarlo passare, però, per le Leggi che regolavano il Mondo-di-Sotto, pretesero di conoscere il
nome del pellegrino e che egli pronunciasse il loro, con la giusta intonazione.
Anubi fece un cenno affermativo del capo e il ragazzo recitò:
“Sono Djoser, figlio di Pthahotep, architetto di Ptha. Il mio ren è: Colui-che-esce-dai-papiri.”
“Da dove vieni?” chiese l’Araldo.
“Dalla terra di Ineb-Heg, il Muro Bianco di Memfi.”
“Che cosa sei venuto a fare qui?”
“Sono venuto per conoscere i segreti della Duat. Aprite il Ro-Stau e lasciatemi entrare. – ordinò - Io non sono arrivato qui impuro, ma provvisto di magia e conosco i vostri nomi: Mades è il tuo nome, Heri-sep è quello del tu compagno e tu sei Babi.”
I demoni abbassarono subito asce e mannaie e il grande portale si spalancò con un fragore assordante che lo fece trasalire, nondimeno, si apprestò ad oltrepassare la Buca del Mistero. Con un certo disagio, per la verità: il disagio del distacco che la Terra avverte quando la zappa le stacca una zolla dalla crosta. Era come se il suo essere si fosse scisso e parte di sé fosse rimasta fuori di quella Soglia. Non dolore fisico, ma piuttosto un disagio dello spirito per la perdita di qualcosa. Comprese di aver lasciato su quella Soglia la prima delle “identità” che componevano il suo essere umano: il ren, il nome segreto.
Un’altra delle identità era il Ka, lo Spirito. Era simile al djet, il corpo fisico, di cui era la copia esatta. C’era poi il Ba, l’Anima, che era la parte più intima dell’uomo. E c’era la Shut, l’Ombra. Infine c’erano l’Ib e l’Akh, il Cuore e il Corpo di Gloria. Sette, in totale, e lui provava quel senso di perdita che si avverte quando si smarrisce qualcosa di prezioso e vitale.
Che il ren fosse una questione molto importante per la creatura umana, Djoser lo sapeva assai bene. Vitale, per la verità, dal momento che neppure gli Dei potevano farne a meno. Non avere un nome equivaleva a non esistere. Possedere il nome segreto di un’altra persona
 (continua)
 Brano tratto dal libro DJOSER e lo Scettro di Anubi

I libri sono disponibili presso le migliori librerie o la Editrice MONTECOVELLO   oppure in rete:
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ma anche direttamente all'AUTORE
 mariapace2010@gmail.com

sabato 18 maggio 2013

La METAMORFOSI di ANUBI


LA METAMORFOSI

Infreddolito e triste, nell’attesa del sonno che non arrivava, Djoser pensava a quella culla scurita dal tempo ma ancora attaccata al soffitto di casa. Le sue mani cercarono il filatterio legato al collo, un astuccio di canne contenente iscrizioni incise su un frammento di papiro; formule per propiziarsi il sonno. Glielo aveva messe al collo sua madre.
Improvvisamente avvertì la sensazione di non essere più solo e che la luce della Luna lo scaldasse quasi più delle fiamme del bivacco. Aprì gli occhi e balzò a sedere: sdraiato di fronte a lui dall’altra parte del fuoco, c’era uno sciacallo.
Superato il primo moto di timore, Djoser restò a guardarlo. Capì subito che non si trattava di uno sciacallo comune. Avvolta dal chiarore della Luna e di quello delle fiamme del bivacco, la sagoma dell’animale si stagliava nitida contro il cielo blu intenso della notte. Nero come la pece, era assai più grosso di uno sciacallo. Più grosso perfino di un lupo. Collo possente, muscoli poderosi sotto un manto di pelo raso, lo sciacallo si sollevò sulle zampe anteriori e lo fissò dritto negli occhi.
Un brivido attraversò la schiena del ragazzo, incapace di sottrarsi al richiamo di quello sguardo obliquo e verde. Lo vide tendere verso di lui il capo dal muso allungato ed aguzzo, spalancare le fauci e mettere bene in mostra le potenti mandibole e le zanne appuntite. Ma non era un atto di minaccia, bensì la posa che lo sciacallo assume quando ulula alla luna. L’ululato tipico, dicevano al cantiere, che lo sciacallo lancia nei periodi che precedono la pioggia: fenomeno assai raro nel deserto.
Djoser comprese che qualcosa di prodigioso stava per accadere.
Attese. Ogni cosa intorno a lui pareva attendere un prodigio, perché quello era un luogo “Divino”, dove era possibile infrangere le barriere del mistero e delle dimensioni: perfino i Faraoni lo avevano scelto per fissarvi le loro dimore eterne.
E il prodigio accadde. Le zanne dello sciacallo, sporgenti fuori della bocca, lentamente rientrarono; così pure le unghie, lunghe e scure. Il muso, allungato e stretto, si appiattì. Nelle orbite oblique, gli occhi fiammeggiarono. Umani o, forse, divini. Il corpo, rannicchiato e curvo, si alzò; pian piano si allungò. Il pelo, nero e lucente, scivolò dentro il cuoio. Risucchiato. Fino a scomparire. Alta, sempre più alta, la sua figura sovrastò, potente e fiera, quella del ragazzo. Anubi era davanti a Djoser e il ragazzo, più attonito e sbigottito che mai da quella stupefacente metamorfosi, lo guardava ammutolito.
“Oh, Anubi! - proruppe - O Signore del Cammino Nascosto!”
“Perché non riposi?” domandò lo Sciacallo Divino e, come già nei meandri della Piramide, la sua voce fece fremere l’aria d’intorno e minacciò di spegnere le fiamme del bivacco.
“Il Deforme Bes, Dispensatore delle Sabbie Benefiche del Sonno, si tiene lontano dal povero Djoser. - si lamentò il ragazzo- L’hai visto aggirarsi qui intorno, o Divino Sciacallo?”
Anubi non rispose a quella domanda, ma ne fece una a sua volta:
“Hai paura di me?”
Un poco, quella domanda stupì il ragazzo. Il Signore del Cammino- Nascosto, si disse, sapeva ben leggere dietro la sua fronte e dentro il suo cuore e conosceva già la risposta. Così, decise di osare. Osò guardarlo in faccia. Osò entrare nel suo fulgore divino. Sapeva bene di poterne restare incenerito. Stranamente, però, non aveva di questi timori. I suoi occhi scuri penetrarono tranquilli e sereni nello sguardo della più misteriosa e temibile fra tutte le Divinità e Anubi gli permise perfino di entrare dentro la sua mente. L’animo di Djoser si dispose a nuove emozioni. Era certo che lo Sciacallo Divino gli avrebbe mostrato i segreti della Duat, il Mondo-Rovesciato di cui era il Signore, che egli aveva sempre immaginato come un’enorme caverna tenebrosa e irta di insidie, in cui una folla di anime defunte vagavano spaurite alla mercè di terrificanti creature.
Fece un cenno del capo per dire che sì, aveva paura.
(continua)

brano tratto da  "DJOSER e lo Scettro di Anubi"  di Maria Pace
editrice  MONTECOVELLO
presso le migliori librerie  oppure
scontato ed autografato presso l'Autrice:

mariapace2010@gmai.com

domenica 3 marzo 2013

Il SA-NESERT - Lo Stagno-di-Fuoco



               Il  Sa-Nesert  -  Lo Stagno-di-Fuoco

 Djoser si rialzò e si guardò intorno. C’era solo Tenebra che, pensò, altro non era, che il rovescio della Luce. Il suo opposto. Come il Male lo era del Bene e la Notte del Giorno. 


La tenebra del Mondo-di-Sotto, però, era assai diversa da quella del Mondo-di-Sopra. Lassù solo il gatto sapeva guardare nel buio. Lo sciacallo e forse il leone. Di sotto, invece, ci vedeva bene anche lui e la prima cosa che vide fu la fiammeggiante faccia di Seqed-Nherit, Colui che Respinge la Fiamma, Guardiano della sebhet della seconda Arrit.

Era d’aspetto così spaventevole e truce, che il ragazzo indietreggiò verso il tunnel appena lasciato.
Alto e massiccio, il torso nudo e un perizoma di colore fulvo come la criniera che trionfava superba sopra la testa leonina, il Demone incuteva veramente terrore. Con entrambe le mani reggeva coltelli, agitandoli minacciosamente in direzione del ragazzo.

Djoser era davvero terrorizzato. Non solo. Nel lasciare il Ren, il nome segreto, sulla Soglia della prima Arrit, si era sentito triste e vuoto come un nido senza piccoli. Orfano di una parte di sé. Con sgomento prese coscienza che un altro dei suoi “principi costitutivi” stava per lasciarlo: l’Ib, il Cuore. La “coscienza”, come gli aveva spiegato suo padre.
Djoser ne fu atterrito. Non osava neppure immaginare quello che sarebbe potuto accadere se anche l’Ib si fosse allontanato da lui. L’Ib era la “casa” delle emozioni e il mezzo per comunicare con gli Dei. Era anche la sede della memoria e la sola eventualità di poter dimenticare il sorriso di sua madre, lo sguardo di suo padre o un tramonto sul fiume in piena, era una cosa intollerabile.
L’afferrò l’angoscia, ma non permise che quella  sensazione riuscisse a sopraffarlo. Con gesto rapido tirò nuovamente fuori della sacca appesa in spalla l’amuleto Ib e prese a recitare:
          “Che il cuore resti con me nella Casa del Cuore.             
           Che la Porta della Sala possa spalancarsi
           Che il mio Cuore possa procedere in pace.”

L’Araldo  si fermò.   Dietro di lui c’erano Portiere e  Guardiano, che al ragazzo parvero Demoni di una specie ancora peggiore di quelli che aveva affrontato e vinto alla prima barriera.
Come il compagno, anche costoro erano a torso nudo e con i fianchi coperti da perizomi. In mano brandivano mannaie e coltelli dalle affilatissime lame. Il primo esibiva una testa d’Ariete, ma il secondo pareva una creatura quasi umana. La figura era umana. Soltanto quella, però, poiché la natura che emergeva dai suoi occhi, era  puramente demoniaca. Rossi e profondi, quegli occhi fiammeggiavano più delle vampe della sua torcia.

Djoser li fronteggiò tutti e tre. Prima fece un lungo respiro, poi si affrettò a frugare nella mente alla ricerca delle Parole Sacre che gli avrebbero dato potere su di loro. Sapeva che, possedendo i loro nomi e usando la giusta intonazione della voce, li avrebbe convinti, anzi, costretti, ad aprirgli quella porta.
“Salute a voi. - cominciò - Saluto l’Araldo della Porta di questa Sala. Used, Colui-che-Consuma, è il suo nome segreto. E saluto te, Guardiano. Seqed-Nherit, Colui-che-Respinge-la -Fiamma è il tuo nome segreto. Saluto anche Dun-hat, Colui-che-Muove-la-Faccia, Portiere di questa Sala.”
“Chi sei?” chiese l’Araldo facendosi avanti..
Solo due parole. Due sbuffi di fuoco che saettarono fuori della bocca e che Djoser evitò scansandosi di un passo sul fianco.
“Djoser. Colui-che-Esce-dal-Papiro è il mio nome segreto.” rispose.
“Dove sei stato?”
“A Khemennu.”
“Che cosa hai appreso in quella città?”
“Piccole cose.”
“E’ sempre da piccole cose - tuonò l’Araldo - che si apprendono tutte le altre.”
Djoser, pur molto impressionato, continuò, puntando avanti a sé il braccio.
“Ho appreso di Thot il Lunare, mio e tuo Signore, Thot che è Parola e Verbo di Ptha il Supremo.”
“Che cosa si dice di Lui?”
“Che la sua Parola abbia ricondotto al Supremo l’Udjat, l’Occhio Divino inviato in missione. - rispose d’un fiato   - Si dice anche - aggiunse dopo aver ripreso fiato - che al suo ritorno, avendo trovato un altro Occhio a sostituirlo, sia andato su tutte le furie e che per placare la sua collera, il Supremo dovette trasformarlo nel Cobra con cui si cinge la fronte.”

Al riguardo Djoser sapeva molte altre cose. Sapeva, ad esempio, che l’Udjat, l’Occhio Divino, era così composto: quello destro, dall’Occhio di Ra, lo stesso che Thot ricondusse al Supremo; quello sinistro, dall’Occhio di Horo, quello che Seth gettò ai confini del mondo dopo averlo strappato al contendente durante la Grande Lite. Anche allora era stato Thot a ritrovarlo nella Tenebra Eterna. Ed era stato ancora Lui a restituirlo a Horo dopo averne ricomposti i pezzi.
“Che cosa vuoi qui?” domandò ancora l’Araldo.
“Entrare da questa Porta ed attraversare la Sala.” rispose.
“Che cosa hai ancora da dire?”

La domanda colse Djoser impreparato; non aveva altre risposte. Doveva cercarne altre? Cercarle nella memoria? Si portò la sinistra sul sopracciglio e strizzò gli occhi, nel vezzo infantile di mettere a fuoco la memoria, ma davvero non ne aveva più. Non bastava conoscere i loro nomi e averli pronunciati con la “giusta” intonazione per ottenere il lasciapassare?
“Questo Demone  vuole tendermi una trappola con le sue ciance. Vuole respingermi nuovamente in quel sudario di fango. Se non ho pronunciato bene i loro nomi perché non mi hanno ancora incenerito? – pensò, ma si sentì avvampare - Questa creatura infernale non starà già facendo arrosto il povero Djoser? Djoser non è quel passerotto implume che il mio amico Osor ha portato per la prima volta dal barbiere! Io non mi lascio mettere in trappola. Io sono provvisto di magia.”
Era terrorizzato, ma riuscì a mascherare le paure e ordinò:
“Sgombra il mio cammino. Io conosco il tuo nome segreto. E’ Colui-che-Consuma. Lascia il passo a questo pellegrino che...”

Tornò a recitare le Formule Antiche così come andava fatto. Non di corsa, ma con la cadenza  esatta e le pause necessarie a rendere efficace quella litania di parole. Voce modulata e dolce, ma decisa e chiara. Imperiosa.
Guardò in faccia l’Araldo con fermezza e con lo stesso cipiglio guardò in direzione della Sebkht sprangata a doppio battente.
Sull’architrave della Porta c’erano disegnate due colonne che incorniciavano una fila di figure e sul pannello era raffigurato un uccello. Djoser riconobbe nelle prime il segno dello Zed e nel secondo la figura  del Sapiente Thot, Protettore di quella Arrit.
“Conosco il nome del Dio che ti osserva e ti comanda. Thot è...”

Vide la sua Ombra-Shut fermarsi immediatamente. La vide chinarsi sulla sponda di un lago, poi vide una nebbia azzurrognola levarsi dalla superficie delle acque ed inghiottirla.
“Il Sa-nesert, lo Stagno di Fuoco… e ha portato via la mia Ombra.”
Di fronte a lui c’era lo stagno più grande ed esteso mai visto. Ne aveva visti tanti nella sua vita. Lui e l’amico d’infanzia, Sikty, giocavano sempre in quello che si trovava proprio dietro la sua casa e in cui un brutto giorno il suo amichetto era annegato. Da allora sua madre gli aveva vietato di stare vicino alla più piccola delle pozzanghere. Questo che aveva di fronte, però, sembrava davvero infinito, così grande da non riuscire a vederne la sponda   sull’altro   versante.   Si fermò ad osservare; un pò sconcertato.  Quel posto  era ameno  e delizioso.  L’atmosfera era bucolica. Assai diversa dalle tenebre angoscianti del Labirinto.




Dalle sponde, un’esplosione di piante e fiori si protendeva sulle acque; canne e mangrovie ricoprivano gli argini. Ne riconobbe alcuni: iris e loti, rampicanti. Altri no. Bianchi, rossi, gialli e blu. Profumi e colori come non n’aveva mai visti nè sentiti in tutta la sua vita. Canneti di papiri, alla sua destra, frusciavano leggeri. Le Sat, le Montagne-del-Tramonto, fiammeggiavano alle loro spalle, incendiando il cielo di un rosso corniola. 

Djoser rimase a guardare incantato; l’affanno per la perdita della Shut era quasi scomparso al cospetto di tanta meraviglia.
Improvvisamente la gran distesa di canne, apparentemente immobile ed impenetrabile, si aprì sotto i suoi occhi. I pennacchi di papiro si separarono e due esseri luminosi fecero la loro comparsa. Avanzarono fino al ciglio del Lago dove si fermarono per rinfrescarsi.

Djoser sentì uno schianto dentro il petto: aveva riconosciuto i suoi genitori. Più precisamente, gli Akh, i Corpi Gloriosi, di Pthahotep e di sua moglie Nsitaten. Incantato, sopraffatto dall’emozione, Djoser fissava ammutolito i genitori adottivi. I loro corpi erano circondati da un’aura luminosa, i volti erano raggianti e gli sguardi colmi di splendore; anche la polvere che copriva le loro parrucche e i sandali sembrava d’oro. Perfino i loro Geni brillavano di quella gloriosa luminosità.
“Qualità”, amava chiamarli il caro maestro Pthaotep, quando ancora era in vita e gli spiegava che ogni uomo era indissolubilmente legato ad almeno quattordici di loro. Quattordici Geni che completavano l’essenza umana di un individuo: la forza, la potenza, la volontà, il carattere, la stabilità, la coscienza…  In quel momento non ricordava gli altri, ma era certo che fossero quattordici, come assicurava suo padre. Troppo emozionato!


Fu Nsitaten, più bella, più giovane, più splendente che mai, ad accorgersi per prima della sua presenza. Il volto coperto di lacrime e le braccia spalancate, sua madre corse verso di lui; le sue prime parole furono:
“Djoser,  bambino mio, fatti guardare…   Piccolo mio,  ma come sei sciupato. Non ti danno da mangiare a sufficienza, dove vivi?”

Djoser sorrise: solo una madre poteva notare quello, tra i tanti cambiamenti di un bambino che arriva all’adolescenza. Non il fatto che era diventato tanto più alto, che gli erano spuntati i primi peluzzi sul mento e sotto il naso o che le spalle s’erano irrobustite; suo padre sorrideva indulgente
“Sto bene, madre.” la rassicurò, ma rabbrividì, come attraversato da un soffio d’aria fresca quando, nel tentativo di abbracciarla, le sue braccia racchiusero aria luminosa. Arretrò di un passo, quasi spaventato, con l’animo in tumulto e i luccicori agli occhi.
“Il corpo appartiene alla Terra e lo spirito al Cielo! - sospirò l’architetto Pthahotep alle sue spalle, poi cercò di consolarlo.  -Tua   madre ha già preparato un posto pieno di delizie per quando    ci raggiungerai nei Sekhet Jaru per restare sempre con noi.”

Se il ragazzo sembrò un pò confortato dalla promessa, non altrettanto si mostrò Nsitaten.
“Questo significa che il nostro figliolo non resterà con noi?”
La udì domandare Djoser con affanno improvviso.
“Lo sai, Nsitaten. - la voce di Pthahotep era suadente, come si fa con un bambino caparbio o uno studente ribelle - Lo sai che non può restare con noi. Te l’ho spiegato prima di lasciare i Sekhet Jaru. Te l’ho detto che era solo per farti rivedere tuo figlio che abbiamo intrapreso questo viaggio. Tu non puoi tenerlo con te.”
“Me lo hai spiegato, marito mio. Me lo hai spiegato, ma una madre, come può separarsi per la seconda volta da suo figlio!”
“Madre!...” proruppe Djoser, piangendo a dirotto.
“Guarda, donna, cosa hai fatto! Hai fatto piangere tuo figlio!”
Per la seconda volta Djoser tese le braccia verso la madre. Ma questa volta, inspiegabilmente, le sue braccia non accolsero solamente aria; l’illusione fu di stringere un morbido cuscino di piume. Piume soffici e setose. Come quelle del piccolo cigno che con l’amichetto Sikty un giorno aveva trovato ferito sulla riva dello stagno dietro casa.
“Ma…”   riuscì soltanto a balbettare, stringendola così forte a sè da farla gemere. Quando si staccò da lei, suo padre aveva ancora sulla faccia quell’espressione di bonaria indulgenza di quando impartiva i rudimenti del sapere ai suoi piccoli scolari.
“Non è stato facile neanche per noi. - spiegò - Soprattutto nei primi   tempi. Per prendere la mano di tua madre, nei Sekhet Jaru, dove la trovai ad attendermi quando vi arrivai, passarono giorni.”
“Com’è che siete qui? Non credevo che questo posto potesse essere frequentato da Anime-Akh. Credevo fosse un posto di supplizi.”
“Ai Giusti è permesso percorrere questi luoghi senza averne danno. Tua madre era stanca ed ha voluto fermarsi a riposare e dissetarsi con quest’acqua.”
“Lo sai, figlio mio, che non ho mai avuto una costituzione fisica  particolarmente robusta. - disse Nsitaten con un sorriso che la rese ancora più luminosa e che illuminò ogni cosa intorno a lei - Anche quando vivevo nel Mondo di Sopra. Per di più - aggiunse in tono schivo - la mia ala sinistra diventa sempre meno resistente nei lunghi percorsi.”
“La... la tua ... ala sinistra?!...” balbettò il ragazzo.
“Di cigno bianco.” spiegò Nsitaten avvolgendolo in uno sguardo che era una carezza.
“E’ la forma che tua madre preferisce assumere per tornare nel Mondo-dei-Viventi e venire in sogno da te.” spiegò Pthahotep.
“... per venire in sogno da me...” fece eco Djoser emozionato.
“Da quando ti ha lasciato la prima volta, tua madre ha cercato di venire da te ogni giorno.- spiegò suo padre con un sorriso - Ogni volta che le tue palpebre si abbassano, lei prova a raggiungerti. Non è così, vecchia mia?”
“E’ proprio così! Sì! E’ proprio così, soprattutto da quando anche tu sei arrivato qui, marito mio.”
“Volete dire che venite spesso a farmi visita? Volete dire che anche adesso lo state facendo e che la mamma si è fermata a riposare qui, su questa riva?”
“E’ quello che ho detto.”
“Ma dove sono Fiamme e Fuoco? Credevo di dover affrontare le Fiamme di questo Lago. Dove sono Fiamme e Fuoco?”
“Si ritirano. - rispose con semplicità suo padre - Si ritirano quando si avvicinano i Giusti e le Anime Gloriose. Ma... Guarda. Guarda laggiù, figlio mio. Guarda cosa accade alle Anime Perse. Guarda. Guarda quelle De-lamdz. Quelle Ombre Malvagie non hanno superato la prova della Sacra-Bilancia: il loro cuore è risultato più pesante della Sacra-Piuma di Maat. Se la Bestia-Ammit non li ha divorati è perché sono riuscite sfuggire alla pena e vagano nella Duat nel tentativo di tornare nel Mondo-di-Sopra.”

Djoser girò il capo nella direzione indicata dal padre.
“La mia Shut, padre, la mia Ombra è fuggita via ed io non so dove sia andata. Temo possa finire sotto le mannaie dei Guardiani.”
“Oh, no! - sorrise rassicurante suo padre - Non temere per la tua
Ombra e neppure devi nutrire timori per le altre tue Identità. Non pensare a quello che ti sei lasciato alle spalle, ma affronta con spirito  forte quello che ti sta davanti e... non badare neppure a quegli spiriti persi. Ognuno ha la sorte che si merita.”
Quasi costretto da quelle parole, Djoser tornò a guardare in direzione del Lago. Tremenda, la scena che stava materializzandosi sotto i suoi occhi.
Una nuvola scura, ondeggiante e rumorosa, si avvicinava alle sponde del Lago. Una moltitudine barcollante, polverosa, stracciata e ricoperta di sterco di pipistrelli ed altri uccelli immondi. Marciava lenta ma inarrestabile. Un odore insopportabile emanava dai loro corpi. Di carne marcia. Le loro urla parevano provenire da gole cavernose e le parole, sulle bocche distorte, erano bestemmie..
“Schifosi figli di una scrofa immonda, buoni neppure a governare...” e qui facevano cadere bestemmie in direzione di un gruppo di Sorveglianti, Demoni non meno rivoltanti di loro, che rispondevano alle provocazioni con altrettante bestemmie ed oscenità. Trattandosi assolutamente da pari.
“Sembrano compagni di una stessa demoniaca famiglia.”

Il ragazzo cercò invano di turarsi le orecchie con entrambe le mani. Riconobbe una voce tra le altre.
“Kabaef! - esclamò - Questa è la voce di Kabaef.”
“Vieni. Lasciamo questo posto. Tra poco qui ci saranno le Fiamme del Neter-Khert.” disse Pthahotep prendendolo per mano e trascinandolo via assieme a Nsitaten, verso una collinetta.
“Ma quello è Kabaef, padre. So tutto di lui e di te. - Pthahotep lo guardò con un sorriso enigmatico. - E’ tuo nemico, padre. Aspetta. Fermati a guardarlo. Non godi per le sue disgrazie?”
“Godere? - fece la voce improvvisamente triste di suo padre - Non posso godere delle disgrazie altrui. Nemmeno di una persona che, come costui, si è meritato il proprio castigo. Venite. Andiamo via da qui.” Djoser dette ancora un’ultima occhiata all’Ombra maledetta di colui che aveva tentato di annientarlo.
Il suo aspetto non era più quello dell’uomo potente davanti a cui
la gente aveva tremato di terrore, grasso e grondante ricchezza e vizio da capo a piedi. Quella che stava osservando da lontano, era soltanto l’ombra, l’avanzo della Superbia e della Malvagità che avevano albergato un giorno nel corpo di quell’uomo. Era un’entità spaventevole e promiscua, in mezzo ad altre assolutamente uguali e simili: le vesti stracciate e lorde, i piedi nudi e sporchi, la pelle piagata dalla frusta. Neppure i condannati delle miniere del Sinai avevano un aspetto altrettanto terrificante. Dette loro le spalle e seguì suo padre.

Appena l’aura dei due Giusti fu lontana, quel Lago, così placido e ameno si trasformò nel posto da incubo del più profondo inconscio. Un crepitio ed un soffio rovente attraversarono il cielo e le Acque si mutarono in Fiamme e Fuoco.
“Ma... ma che cosa sta accadendo?” domandò Djoser guardando di sotto dall’alto della collinetta che con Pthahotep e Nsitaten aveva appena raggiunto.
C’erano  quattro  Guardiani  occupati ad attizzare quattro immensi bracieri. Altissime colonne d’acqua bollente si alzarono vorticose dalla superficie, creando nel cielo una coltre così spessa e cupa da oscurare la tenebra stessa; grosse nuvole nere e gravide di pioggia rovente si rovesciarono sui disgraziati, di sotto. Qualcuno tentò di fuggire, ma i Demoni erano pronti a risospingerli avanti con pungoli e fruste.
“Per la Sacra Piuma di Maat! - esclamò il ragazzo, assai  impressionato  - Adesso capisco.”
“E’ la sorte dei malvagi e delle loro Ombre.” spiegò Pthahotep.
“La mia povera Shut - proruppe il ragazzo - Non sarà finita in mezzo a quelle Ombre Malvagie?”
“Non temere per la tua Ombra, figlio mio. Ti ho già detto che nulla le accadrà. Non temere per Quella e prosegui leggero lungo il tuo cammino.” lo rassicurò nuovamente suo padre, facendo seguire alle parole un lungo sospiro che allarmò Djoser e gli fece presagire qualcosa di spiacevole e doloroso.
“I malvagi sono andati, figlio mio. - disse Pthahotep - Ma anche  noi dobbiamo andare, ma ci rivedremo ancora..”
“No! Non andate. Aspettate ancora. Vi prego...”
“Non possiamo fermarci oltre e neppure tu lo puoi. Ti prometto che ci rivedremo presto.”
“Quando?”
“Presto, figlio mio. Molto presto.” rispose Pthahotep, la cui figura cominciava ad impallidire e diventare trasparente.
“Che cosa significa? Che vuoi dire, padre?... Ma padre, io... Madre... Che cosa vi succede?”
Pthahotep e Nsitaten erano già scomparsi. Di loro non era rimasto che traccia di luminescenza e l’eco delle parole che fluttuavano nell’aria ancora scossa. Djoser, allora, cominciò ad aspirare quell’aria. Lo fece con l’avidità dell’assetato sorpreso senza acqua nel deserto e con la speranza di portare dentro sè un barlume dei due Esseri a lui più cari al mondo. Gli occhi erano pieni di lacrime e il dolore era  cento volte più grande di quello provato alla loro morte. Ritrovarli era stato meraviglioso, ma perderli per la seconda volta era la cosa più triste al mondo.

Tornò a guardare di sotto, dove era scoppiato il caos.
Vide alcuni di quegli sventurati sfuggiti ai Sorveglianti correre lontano in cerca di salvezza e vide spaventose braccia ad artiglio rincorrerli e trascinarli verso le fiamme. Li vide dibattersi e contorcersi nel Fuoco. Restò a fissare quella scena, irrigidito dall’orrore e fu allora che distinse chiaramente i quattro Sorveglianti: quattro Babbuini dalle gigantesche proporzioni fisiche e dall’aspetto spaventevole. Con lunghe pinze di bronzo alimentavano i bracieri entro cui il fuoco divampava con la violenza di un incendio. Simili ad enormi uccellacci rossi, le fiamme si libravano alte verso il cielo; il  loro crepitio era più assordante delle grida degli ippopotami nella stagione degli accoppiamenti, lungo le anse del Nilo, nel Mondo-di-Sopra. Cominciava già a nutrire qualche dubbio sulla possibilità di lasciare indenne quel posto, quando si accorse dello stretto canale che, partendo dal centro del Lago, portava alle Montagne- del-Tramonto ed alla Terza Arrit.

(continua)
brano tratto dal libro "DJOSER e lo Scettro di Anubi"

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giovedì 28 febbraio 2013

DJOSER e lo Scettro di Anubi




E' il primo volume di una saga storico-fantasy ambientata in Egitto durante la costruzione della piramide di Kafra (meglio conosciuto come Kefren).

Attraverso questa lettura si potranno conoscere epoca, funzione e tecniche di costruzione delle Piramidi ed i misteri ad esse legati; di Templi e Palazzi, Canali e piste carovaniere.

Episodi di vita quotidiana, intrighi di corte... funzionari, ufficiali, schiavi e gente libera, sacerdoti e scribi, Faraoni e Regine, principesse ed ancelle, maghi ed allievi e tanti altri personaggi.

E la DUAT, l'Oltretomba, attraverso cui il protagonista, DJOSER, condurrà il lettore lungo Labirinti, Foreste del Tempo Illimitato, Montagne di Ghiaccio, Paludi e Caverne... frequentati da Demoni e Spiriti Benevoli e da... ma a questo punto avrei piacere di invitare qualcuno di voi a salire sulla
"Barca notturna" per intraprendere quel viaggio fantastico e straordinario... arrivederci a bordo.

basta richiedere il volume "DJOSER e lo Scettro di Anubi"

è presente presso le migliori  librerie;  in mancanza potrete farlo richiedere

oppure presso: SOCIETA' EDITRICE  MONTECOVELLO
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venerdì 1 febbraio 2013

SIKHTY - Il Bambino-Uccello


.....
L’aria che si respirava in quella Foresta era davvero tanto, tanto, ma tanto pesante. Così pesante da costringerlo a fermarsi per lunghi respiri. Quell’aria discendeva dentro di lui, ma poi faticava a risalire e gli opprimeva con forza il petto.
Fece un respiro profondo e stese un braccio; la mano fendette l’aria come fosse stata qualcosa di compatto. La vide fluttuare intorno a sè e udì i trilli e i frulli d’ali espandervisi come in un’eco profonda.
“Strani uccelli! - pensò sottovoce - Mai visti, rondini ed aironi simili a questi.”
Strani. Strani davvero, quegli uccelli. Niente affatto comuni. Uno si staccò dall’alto del fogliame di una quercia e scese a volteggiargli sul capo.
Era uno splendido falco. Un giovane falco dal corpo slanciato, dalle lunghe ali e dagli artigli rostrati.
Djoser abbassò istintivamente; il capo: pareva che quello stupendo esemplare di rapace stesse puntando proprio lui. Così era, poichè si fermò a svolazzargli sul capo sbattendo le ali. D’improvviso, l’udì emettere un suono acuto e stridulo. Non il normale verso di un uccello, nè un grido da predatore, ma un suono  prolungato, simile all’eco di uno squillo di tromba. Immediatamente dopo, però, seguì un canto dolcissimo, una vocina melodiosa.
       “Vivono di uccelli i falchi,
        di scorrerie vivono gli sciacalli...”
Djoser ne rimase sconvolto: l’ultima volta che aveva udito quel canto, molti anni prima, era stato sul ciglio di uno stagno e con lui c’era Sikty, il suo amichetto d’infanzia.
         Della palude vivono gli ippopotami,
         di pesci i coccodrilli.
         Di grano e di pesci del Nilo vivono gli uomini… “
Era proprio la voce   di Sikty e quello era il Ba del suo piccolo amico.

Il Ba, gli aveva spiegato suo padre, necessario alla sopravvivenza umana dopo la morte, era la parte più intima dell’anima. Al momento della morte lasciava il corpo uscendo dalle narici, poichè era attraverso le narici che Ptha-Atum aveva infuso l’alito vitale. La sua forma era di uccello con testa umana.
Il suo amico Sikty era morto. Era morto annegato un pomeriggio di  tanti anni addietro, mentre giocavano con i ranocchi dello stagno dietro casa.
Quale uccello, l’amico Sikty avrebbe potuto scegliere per il suo Ba se non un falco?
Da grande, diceva, avrebbe voluto avere un falco come compagno.
Che strana sensazione guardare il volto dell’amico su quel corpo di falco.

Anche Sikty guardava lui. Lo guardava fisso negli occhi poi piegò le ali e cercò con gli artigli un ramo su cui posarsi.
“Sei proprio Sikty?” domandò.
“Come tu sei il mio amico Djoser.”  
Non pareva per nulla stupito, il piccolo Sikty, di quell’incontro. Solo contento. Era ancora bambino e non conosceva lo stupore del miracolo. Djoser, invece, sì!
La gioventù è sensibile ai miracoli della vita.
“Ehi! - il falco-bambino lo svegliò dallo stupore - Non mi senti?”
“Oh!, sì... sei proprio il Ba del mio amico Sikty e...”
“Sono cosa?” lo interruppe la vocetta stridula del bimbo-uccello.
“Sei il Ba del mio amico Sikty.”
“Io sono Sikty!” insistette l’altro con caparbietà.
“Certo che sei Sikty, ma non sei più quello che viveva nel Mondo-di-Sopra. Adesso sei un Ba. Sei un’anima e...”
“Io sono S i k t y! - conguettò quello - Sono il figlio del fabbro Sekhem e di sua moglie Khara!”
“Va bene! Va bene! - conciliò Djoser; ricordava quanto permaloso e testardo fosse il suo amichetto anche da vivo - Sei Sikty! - sorrise poi proseguì - Non sei cambiato!... No! - si corresse subito - Sei cambiato. Ma la tua faccia non è cambiata. La tua faccia è sempre la stessa.”
“Tu invece sei cambiato. Sei tu, ma sei diverso. Sei così alto...”
“Eh! - fece Djoser - Sono scresciuto. Non ho più cinque anni. Cinque anni avevo quando...” Per la terza volta s’interruppe.
“Quando finii annegato nello stagno.” concluse per lui l’amichetto, con accento quasi divertito.
“Già!” assentì Djoser con aria mortificata.
“Da allora mi tengo lontano dal più piccolo specchio d’acqua. Ah.ah.…- cinguettò - Bevo solo rugiada dai tronchi degli alberi” Anche Djoser rise, mentre continuava a fissarlo negli occhi. Erano proprio gli occhietti di Sikty, scuri e furbetti.
“Da quel giorno mia madre mi ha sempre tenuto lontano da ogni pozzanghera d’acqua. - ancora una pausa, per raccogliere l’emozione sparsa dentro e fuori di lui da quell’incredibile incontro; Djoser tirò su col naso - Anche mia madre è qui. L’hai incontrata qualche volta? Hai incontrato i miei genitori?” chiese.
Sikty scosse il capino piumato di cui Djoser parve accorgersi solo in quel momento, di colore grigio- ardesia striato di bianco. La sua mano si tese per una carezza, che Sikty parve gradire..
“E i tuoi lunghi capelli?” lo udì domandare.

Uno stormo di gufi venne a frullare intorno al lungo ramo proteso su cui stava appollaiato Sikty, impedendogli di rispondere.
Sbattevano le ali rumorosamente e dai versacci che emettevano, parevano più gracchianti cornacchie che silenziosi rapaci. Djoser sollevò lo Scettro di Anubi e li mise in fuga.
Sua madre, ricordò, odiava gufi e civette. Diceva che  portavano disgrazie e che ne aveva visto uno appollaiato sul melo del loro giardino proprio il giorno della disgrazia del suo amichetto. Diceva che cacciavano di notte in silenzio e con il favore delle tenebre perchè di giorno erano impegnati a spargere disgrazie.
Suo padre, però, sorrideva dei suoi timori e gli diceva che ognuno di quegli odiati pennuti era utile per tenere lontano i topi che, quelli sì, erano dannosi.


Sikty sollevò un’ala per proteggersi il capo e si lasciò sfuggire un lamento; lo stormo di gufi era già lontano.
“Ehi, Sikty!... Ma tu sei ferito. La tua ala è spezzata. Che cosa ti è successo? Sono stati quei gufacci dispettosi?”
Il bambino-uccello scosse il capino.
“E’  stato il Macellatore-delle-Anime-Fuggenti. - piagnucolò - Mi ha inseguito con i suoi coltelli. Io sono riuscito a volare via, ma lui... Oih! Oih!... mi aveva già colpito... Oih! Oih!...”
“Non piangere, piccolino. Non piangere... C’è qui il tuo amico Djoser che ti aiuterà a rimettere a posto la tua aluccia.”
Djoser gli accarezzò il capino, poi il dorso. Quanta pena vederlo  così   piccolo ed indifeso. Era solo un bambino quando era morto e bambino   era ancora   adesso: uno stupendo bambino-uccello la cui vista procurava un dolore acerbo al suo spirito.
“Fammi vedere la tua ala.” disse; Sikty tese l’ala con un gemito.
“Se stai fermo e tranquillo, il tuo amico te la sistema in un battito di ciglia.” lo rincuorò, poi prese un ramoscello, lo accostò all’ala e l’avvolse con una pezzuola tratta fuori dalla sacca appesa al collo. Sikty lo lasciava fare in silenzio.
“Sai dirmi di questo Macellatore di Anime Fuggenti?” chiese. L’amichetto scosse il capino, ma la sua vocetta trillò:
“Però conosco un segreto.”
Djoser sollevò il capo; sorrise e si guardò intorno.
“Qui? Nella Terra-dei-Misteri?... Oh! Qui ogni cosa è un mistero. Compreso il mio piccolo amico Sikty”
“Quel giorno, nello stagno...”
“Non fu colpa mia, Sikty. – si agitò Djoser - Ho provato a tirarti
fuori dell’acqua, ma non ci sono riuscito. L’acqua mi spingeva lontano… lontano da te.”
“Non è stata l’acqua a spingerti fuori dello stagno, Djoser.”
“E’ stata l’acqua.”
“Non è stata l’acqua a spingerti fuori dello stagno.” insisteva il bambino-uccello.
“E’ stata l’acqua. - anche Djoser insisteva - L’acqua mi ha spinto lontano.. Lo ricordo bene. Ricordo come annaspavo...”
“No! Io annaspavo. Poi è arrivato Lui. Ha sospinto te fuori dello stagno ed ha condotto Sikty fino a qui.”
“Ma che cosa dici?”
“Che Lui mi ha condotto fino ai Sentieri-della-Terra-Nascosta.”
“Non capisco. Non ti capisco. Chi è Lui?”
“Lui! -   ripetè il piccolo - Con Lui sono venuto fino ai confini della Terra-Nascosta, ma Lui non c’era quando ho attraversato le Tenebre popolate dai Grandi Serpenti.”
“Vuoi dire il Labirinto?”
“... e non era col povero Sikty neppure nella Laguna-della-Doppia-Fiamma. - il piccolo fece una pausa, poi aggiunse, con voce carica di compiacimento - Ma Sikty è stato capace di spegnere le Fiamme.”
“Capisco! - proruppe Djoser - Adesso capisco. Hai attraversato il Labirinto e il Lago-di-Fuoco e sei arrivato fino alla Foresta-del-Tempo... Però, non mi hai ancora detto chi è Lui.”
“Oh! - sospirò il Ba dell’amichetto - Non sai che dietro ogni segreto ce n’è sempre un altro? Vivere tanto più a lungo di me, nel Mondo-di-Sopra non ha giovato alla tua vita. Pare a me.”
trillò ancora Sikty, felice della sua aluccia rattoppata.
“Io voglio soltanto sapere chi è Lui.”
“H-A-P-Y! - scandì con la sua vocetta acuta il bimbo-uccello - Come puoi non averlo capito! Era Hapy, il Signore del Nilo.”
“Hapy! Ma certo! E’ stato Hapy a tirarmi fuori. Se così non fosse stato, ci sarei anch’io qui con te. Oh, mi dispiace!”
Sikty scosse il capino e provò a sbattere le ali, anche se non riusciva ancora a stendere quella spezzata.
“Che cosa posso fare ancora per te? Fra poco la tua ala sarà guarita e non t’impedirà più di riprendere il volo.”
“E tu pensi – replicò polemico l’amichetto - che un’ala ferita possa fermare un viandante come me nell’attraversando la Terra-Nascosta?”
“Se non è la tua ala ferita, che cos’altro ti trattiene?”
“Sono Quelli-che-causano-la-distruzione-dei-colpevoli a braccare i pellegrini che attraversano la Duat.”

Il caratterino del suo amichetto non era davvero cambiato, pensò Djoser; nemmeno adesso che stava percorrendo la Terra Nascosta. Neppure lui, però, era cambiato ed, infatti, candidamente domandò:
“Chi sono costoro?”
“Gli Spiriti Protettori che lo Sciacallo Divino ha posto a guardia del corpo di Osiride.” spiegò l’altro.
“E Tu saresti uno di quei colpevoli?”
“Naturalmente no! Ma quelli non lo sanno.”
“Sono stati quelli a spezzarti l’ala?”
“… e una zampa. – precisò Sikty - L’ala e una zampa. Sono stati Colui-che-vive-nel-fuoco e Colui-che-ha-gli-Occhi-Rossi.”
Seguì una breve pausa per sbattere l’ala e controllare se andava meglio. Cosa che, sorprendentemente, stava avvenendo a vista d’occhio, poi giunse la sua esortazione:
“Attento a quelli e pronuncia bene i loro nomi.”
“Lo farò, ma dimmi, che cosa ci fai ancora qui? Io ti credevo a goderti le Beatitudini nei Sekhet-Jaru insieme agli altri Glorificati. Chi sono queste Anime-Ba che svolazzano d’albero in albero facendo tanto baccano?”
“Aspettano come sto aspettando io.”
“Aspettano che cosa?” 
(continua)

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lunedì 28 gennaio 2013

L'OMBRA-SHUT...


L’odore di acque nelle narici e il rumore del loro sciabordare nelle orecchie, l’avvertirono che si trovava all’aperto e immerso in un etra assai rarefatto. Cominciò a “navigare” in quello strano elemento con qualche incertezza ed avvertì subito una sensazione di soffocamento.

       “Ptha-Atum, Signore Supremo, - prese a recitare –

        Accordami il dolce soffio che è nelle tue narici.

        Shu, Signore dell’Aria, dammi l’aria per respirare…”

Continuò a navigare all’interno di quel sogno, ma si sentì nuovamente aggredire da quel profondo senso di perdita. Era come se lo spirito gli si staccasse dal corpo e se ne liberasse.

Una sensazione davvero indicibile. 

Non era il Ka, però, a lasciare il Djet. Non era lo spirito a lasciare il corpo. Questo giaceva sul pavimento della She-Maaty, la Sala d’Iniziazione, incosciente ed immobile. Più simile ad un Khat, un corpo inerte dopo il trapasso, che ad un Djet, un corpo ancora vivo. La “parte di sè” che lo stava abbandonando, era quella che lo aveva sempre seguito come l’ombra: era proprio l’Ombra.

Dopo il Nome-Ren e il Cuore-Ib, anche l’Ombra-Shut lo stava abbandonando. Non lo faceva di corsa, come aveva fatto il Ren; nè quasi di nascosto, come aveva fatto l’Ib, ma se ne stava andando in modo dolce e sottile. Senza strappi, nè violenze, ma con la struggente tenerezza di un tramonto sul Delta. La vide sgusciare via ed allontanarsi. Provò ad inseguirla, ma quella cominciò a correre sempre più spedita, trascinandolo via veloce.

“Aspettami. Aspettami. Non andare via... Dove stai correndo così? Aspettami. Fermati, ti prego!” la richiamò, ma l’Ombra non si fermò. Lo aveva distanziato in misura ormai irraggiungibile. Fu lui a fermarsi, ansante per la corsa e con il fiato corto e le spalle curve in avanti per riprendere respiro.

“Dove starà andando? - continuava a chiedersi - Vorrà tornare al mio corpo lasciato incosciente nel Mondo-di-Sopra?... Anche il Cuore e il Nome saranno tornati lassù?”

Corpo e Ombra, Cuore e Nome, pensava con preoccupazione, erano doni che l’uomo riceveva dal Creatore con l’alito della Vita. Riferendolo    al Guardiano  del Ro-Stau, il suo Ren aveva, forse, perso  di sostanza e di potenza? Per questo Cuore e Ombra si erano allontanati dal Ka?

“Come farò adesso? I Custodi delle Porte non mi faranno proseguire da solo e senza di loro.”


Dove stava correndo la sua Ombra? Qualcuno la stava inseguendo? Forse i Sorveglianti delle Ombre dei defunti? Quelle sfuggite al castigo, in cui si era imbattuto prima di infilarsi nel Labirinto? La sua Ombra non era colpevole, si disse, e nessun Demone poteva catturarla e trattenerla là sotto... E le altre identità? Dove erano finite tutte le altre identità?

Con   sgomento realizzò quanto vulnerabili fossero le sue Identità agli attacchi ed alle trappole tese da Demoni e Spiriti Malvagi.

“Per la Barba di Seth! - imprecò - Nessuna delle tre perdute identità di Djoser è provvista di incantesimi e formule magiche. Come faranno a ritrovare la via giusta per tornare dal povero Ka lasciato da solo?”  Che pena frugare nella memoria alla ricerca di quelle formule che al Tempio, da studente, aveva copiato e ricopiato su tavolozze di pietra allo scopo di imprimerle nella mente.    

             “L’Occhio di Horo stabilisca il suo splendore,

                 mentre l’ombra del crepuscolo è sul volto

                di coloro che sono nelle mani di Osiride - recitò -

                I Custodi  non imprigionino la mia Ombra..”

Vide la sua Ombra-Shut fermarsi immediatamente. La vide chinarsi sulla sponda di un lago, poi vide una nebbia azzurrognola levarsi dalla superficie delle acque ed inghiottirla.

“Il Sa-nesert, lo Stagno di Fuoco… e ha portato via la mia Ombra.”
Di fronte a lui c’era lo stagno più grande ed esteso mai visto.   (continua)

brano tratto dal libro:"DJOSER e lo Scettro di ANUBI"
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