L'EGITTO dei FARAONI




DJOSER e Lo Scettro si Anubi

DJOSER e I LIbri di Thot

DJOSER e I Giardini di Osiride

DJOSER e il ritorno di Hapy

ANTICO EGITTO - Faraoni e Regine

ANTICO EGITTO - Credenze Religiose

ANTICO EGITTO - La Scrittura... La magia dei Geroglifici

lunedì 11 agosto 2014

Il Messaggero della Morte

                               

  (immagine tratta dalla rete)          

Per raggiungere il Terzo Pilone di Osiride non c’era altra via che uno stretto sperone roccioso attaccato alla parete della montagna: un lungo camminamento naturale con un versante laterale che precipitava in un burrone. Con un sospiro vi pose piede e cominciò ad avanzare, un passo dopo l’altro e con quella protezione ai piedi.
Il calore che si alzava dal precipizio lo spinse a sporgersi; vide getti di vapore salire dal fondo assieme ad un forte odore di zolfo e uova marce. Gli parve anche di udire rumori provenire dal ventre della montagna.
“Geb ha mal di pancia, direbbe l’amico Mosè, o sta ancora russando!” scherzò, cercando di mantenersi in equilibrio. 
Largo non più di tre cubiti, il crostone pareva sul punto di staccarsi e precipitare di sotto; sordi rumori continuavano a giungere dagli anfratti, ma, ad un esame più attento, gli fu chiaro che quello non era il rumore di un dormiente, sia pur rumoroso come doveva essere il russare del Signore-della-Terra.
Tese l’orecchio e scoprì che erano rumori di martelli ed incudini. Per capire donde provenissero, finì per inciampare in una sporgenza del suolo.
“Quale meraviglia!” esclamò fissando il sasso che lo aveva bloccato.

Di un rosso acceso, la forma bizzarra e dai contorni sfaccettati e convulsi, il sasso attrasse subito la sua attenzione: potente nell’immobilità ed inerzia, pareva cosa viva.: Djoser n’era affascinato ed atterrito.
“Quaggiù, la fantasia di Geb non ha limiti. Questa creatura è quanto di più straordinario gli occhi di Djoser abbiano visto mai.” pensò facendo l’atto di tendere una mano.
“Non te lo consiglio, giovane pellegrino. – una voce gli torrenziò sul capo – Non ti consiglio nemmeno di avvicinarti troppo a quella creatura di Geb.”
Il ragazzo si girò.
Una figura completamente immersa in un alone di luce, tale da non poterne distinguere bene i contorni, era ferma sul ciglio del crostone. Djoser respirò febbrile l’aria della notte in fuga e la guardò: quella presenza versava nel suo spirito una calma assoluta, benché lo sguardo gli brillasse come una fiamma.
“L’Esecutore-della-Morte ti starà sicuramente osservando e non aspetta altro per allungare le sue grinfie su di te.”
L’Essere  di Luce si avvicinò.   La persona era agile e snella, ma     si perdeva nell’ombra opaca di una larga tunica di lino grezzo tenuta sulle spalle da strette bretelle. Sull’omero destro era poggiata la candida stola da chery-webb, i sacerdoti  del Sapiente Thot.

Che fosse un sacerdote di massimo grado del Signore-dei-Geroglifici, il ragazzo l’aveva capito subito dal rotolo di papiro che quegli stringeva in una mano e dal Bastone Sacro con l’impugnatura a forma di testa di Sacro-Ibis, cui s’appoggiava con l’altra. Anche il suono della voce era particolare: ieratico, sottile e metallico, un po’ come l’eco dello scudo di bronzo che richiamava gli allievi della scuola del Tempio.
“L’Esecutore-della-Morte?” s’allarmò il ragazzo, fissandolo negli occhi; da vicino la sua luce era ancora più radiosa e la faccia quasi abbagliante.
Djoser aveva scrutato a decine, in quei posti, facce, sguardi, fisionomie, ma non aveva mai trovato quell’infinita consapevolezza di sé, quella calma assoluta che differenziava dalle altre la faccia di quell’Anima-akh.   I lineamenti erano energici e lo sguardo, profondo e un po’ affossato, era edotto di inimmaginabili conoscenze. Dietro la fronte leggermente prominente, dovevano nascondersi pensieri guidati da una forza d’animo singolare.
“Il suo aspetto inganna, il volto ammalia e gli occhi incantano. In questo momento ti starà osservando, pronto a piombarti addosso, se solo tocchi questa pietra.”
“Io non vedo nessun Esecutore.” replicò speranzoso Djoser.
“E come potresti! Quello si nasconde nel Lago-di-Fuoco per rendersi invisibile e sorprendere l’incauto.”
“Venendo qui non ho visto Laghi-di-Fuoco…”
“Se non risenti del calore che si sprigiona dai suoi numerosi tentacoli di Fuoco-Liquido – lo interruppe l’altro – vuol dire che sei provvisto di magia, ma Rew ed he-kau non bastano. Occorre avere buona confidenza con le debolezze di Demoni e Spiriti-Malvagi – il luminoso fantasma ebbe una pausa che riempì con un sospiro – Oppure con il loro sechemSai che cos’é un sechem? – Djioser annuì e l’altro proseguì – E’ la Forza bruta nascosta nel più profondo di un essere vivente. Un tempo era un gioco per me tagliare e riattaccare la testa di un’oca…”
“Djeda! – proruppe il ragazzo sgranando i begli occhi scuri allungati dalla galena e sbattendo ripetutamente le palpebre in quel vezzo, retaggio infantile, di grande stupore e meraviglia –  Tu sei il Djeda. Mio padre mi parlava del “Grande di magia”, Djeda di Khenmu, sacerdote di Thot. Mi diceva che perfino Sua Maestà, Khufu, che desiderava ricreare per la sua Piramide le misteriose Cripte di Thot, attinse alle tue conoscenze.
Djeda ebbe un enigmatico sorriso.
“Senti questo rumore?”
“E’ da quando ho messo piede qui che mi segue come il rumore dei miei stessi passi.”
“Sono le Fornaci di Ptha. Vuoi conoscere la potenza del Signore dal Cranio-Rilucente-e-Calvo? – lo stupì il più grande mago d’Egitto, figgendogli negli occhi uno sguardo che Djoser mai più avrebbe dimenticato La Volontà Divina si nasconde spesso dietro il Velo della Natura. Seguimi.” aggiunse puntando il bastone in direzione della parete della montagna.
“Io… io… - balbettò Djoser seguendolo - E l’Esecutore”
“Non temere. Non curarti di Lei e seguimi.”
“Lei? – stupì ancora il ragazzo – E’ una donna?”
“Perché questo stupore? – sorrise Djeda – E’ la componente femminile che è in ogni essere creato. L’Esecutore preferisce mostrarsi sotto quella  forma. Anche dentro di te, giovane viandante, si nasconde una componente femminile. Non so se sia altrettanto ammaliante… ma non è per scoprire questo che sei qui. Seguimi e se saprai “vedere e ascoltare” – aggiunse, in tono assolutamente misterioso - forse avrai qualche risposta alle tue domande.”

Djoser lo seguì; con lui s’infilò in una larga fenditura della montagna.
Partiva da lì un largo cunicolo abbastanza agevole e in leggera pendenza. Scheggiame sparso per terra e pietrame crollato dalla volta, però, rendevano il percorso disagevole e scivoloso; appuntite sporgenze, dalle pareti e dal basso soffitto, si protendevano fin quasi ad impigliarsi nei capelli.
Procedeva irregolare e tortuoso; si allargava e stringeva, e in certi punti era così stretto, che Djoser temette di dover ripetere l’esperienza del Labirinto.
Da lontano giungevano bisbigli e brontolii e quando cessavano, il silenzio che li sostituiva, risultava più inquietante degli stessi rumori.
Djeda si voltò più volte a guardarlo con espressione d’incoraggiamento; se non fosse stato per l’aura luminosa che emanava dalla sua persona, là sotto ci sarebbe stata la tenebra più oscura. La luce esterna li aveva seguiti per qualche tratto, poi li aveva abbandonati, riassorbita dall’oscurità.
“Ignorala.” disse il mago.
“Che cosa devo ignorare, o Venerabile?” domandò sorpreso il ragazzo, sollevato dalla luce che Djeda emanava con la propria persona e che mostrava le cose nascoste dal buio.
“La paura, causa di ansia e preoccupazione. Mantenersi calmi e allontanarla da sé è il modo migliore per affrontarla. Per liberarsene occorre soltanto non considerarla.”
Djoser rispose con un ”Ohi! Ohi”: la luce di Djeda non impediva ai suoi piedi di battere contro le sporgenze del terreno.
Procedettero per una trentina di passi prima di sbucare in un’ampia grotta il cui soffitto digradava irregolarmente verso il fondo.
“Che caldo!” si lamentò Djoser, guardandosi intorno.
L’arsura era davvero pesante e la fonte di tanto calore pareva provenire da una grossa, frastagliata frattura  nella parete,  una specie di terrazza affacciata su un precipizio da cui salivano nuvole di fumo e aria rovente.
Spinto dall’innata curiosità, il ragazzo si avvicinò al bordo di quella terrazza per guardare di sotto. Attraverso i fumi del vapore, riuscì a vedere un fiume rosso che scorreva lento, uscendo da una spaccatura; così lento, da non far alcun rumore.
Djoser lo seguì con  sguardo atterrito e affascinato.
Una leggera instabilità sotto i piedi e alcuni sassi che si staccarono dall’alto, lo convinsero ad allontanarsi.
“E’ il Lago-di-Fuoco?” domandò.
“No. E’ il Fuoco che alimenta il Lago.”
Il  ragazzo   fece l’atto   di replicare,      ma     un’esclamazione soffocata gli sfuggì dalle labbra: seduta su una delle sporgenze della frattura, quasi in bilico e vestita di vapori sanguigni, vide una ragazza di dodici o tredici anni di incomparabile bellezza. Seminuda, era coperta solo di un corto perizoma, un pettorale di cuoio e un numero impressionante di gioielli: cavigliere, bracciali, anelli, collari, cinture. Una capigliatura folta e gonfia come una criniera, rossa come il fuoco, rendeva il suo fascino aggressivo.
“Jakhab-hit!” proruppe, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo volto dalla pelle dorata, su cui fiammeggiavano due occhi di un brillante turchese, fissi su di lui.
“E’ sua figlia!” disse lo Spirito-Akh del mago, scuotendo il capo.
”Sua figlia!” ripeté meccanicamente il ragazzo continuando a fissare l’affascinante creatura, sempre vestita dei bagliori della lava che correva dentro il crepaccio.
“E’ Mes-Jakhab-hit, il Guardiano, figlia amatissima della Signora di questo Pilone. E’ il Messaggero-della-Morte.”
“Le…lei è il Mess… Messaggero-della-Morte?”
“Sconvolgente, vero?... E perché mai? La Morte deve apparire attraente per convincere i mortali a seguirla.”

“E’ bellissima!” bisbigliò Djoser
Aveva dato al Messaggero-della-Morte mille volti: quello dallo sguardo spento di una vecchia, quello selvaggio di un antico guerriero, quello di uno sciacallo dagli occhi roventi, ma mai un volto dai lineamenti così arditi e delicati insieme, soffuso di magico splendore.
Mes-Jachab-hit era bellissima. Di una bellezza insolita: dolce e aggressiva insieme. Il fisico era ancora acerbo, ma aveva la rotondità della più sublime femminilità: piccoli seni turgidi che si sollevavano come due tonde colline, gambe, nervose e snelle che parevano colonne scolpite nel marmo e il ventre che s’affacciava sul perizoma legato ai fianchi come una dolce pianura. La bocca, rossa come la lava, era di velluto e nello sguardo, di fuoco acceso, brillava un pizzico di malizia, un po’ come quello della principessa Nefer, si sorprese a pensare.
“Vieni. – lo invitò lei - Avvicinati.”
“No! - fu l’istintiva risposta del ragazzo, che  cercò di sottrarsi al suo sguardo. – Sei qui per me?” domandò.
“Non per la ragione che credi tu, giovane viandante.” sorrise sempre più inquietamente enigmatica il Messaggero, ma nel modo più ammaliante che potesse avere una bocca sorridente.
Un nuovo sussulto sotto i piedi, però, Geb  che si stava svegliando e uno sfasciume di lava solidificata, che staccandosi dal soffitto e quasi l’investì, lo tolsero dall’imbarazzo.
Molte schegge giacevano per terra, di varia forma e colore: bianco, verde, rosso, azzurro. Minerali, pensò il ragazzo e tornò a guardare verso il crepaccio: il Messaggero non c’era più ed egli trasse un sospiro: non sapeva se di rammarico o di sollievo.
Per consolarsi si chinò a raccogliere alcuni di quei frammenti. Appena li toccò, però, gli si sbriciolarono fra le dita.
“Non sono creature di Geb?” domandò a Djeda.
“No! Sono creature di Ptha. – spiegò il mago - E’ quaggiù, nel seno di Geb, che arde il Fuoco di Ptha. Sei pronto ad affrontarlo? – Djoser accennò di sì – Allora seguimi.”

(continua)

brano tratto da   "DJOSER  e  i Libri  di  Thot"  di  Maria PACE

MONTECOVELLO EDITRICE

lo si può richiedere in libreria o presso l'Editrice o anche presso l'autrice
mariapace2010@gmail.com

martedì 5 agosto 2014

TA-HIT DAMA della TERRA - Terzo Pilone di OSIRIDE






Non aveva torto, Djoser: l’aspetto di Neqau era davvero inquietante; alto e prestante, in mano reggeva mazza e bastone. Si era fermato sul bordo dello stagno e guardava verso di lui. Spalle e torace erano nascosti da un luccicante mantello che mandava bagliori al più lieve movimento, come se fosse tessuto non con lana, lino o altra fibra, ma con filamenti di rame o altro metallo; da sotto spuntavano gambe taurine. Dall’enorme testa, però, spioveva sulle orecchie, anche queste taurine, una folta capigliatura umana.
Da quella distanza Djoser non distingueva bene il  suo volto, ma doveva essere certamente mostruoso. Gli lanciò un’occhiata un po’ preoccupata prima di affrontare l’ultimo masso, che si trovava proprio al centro dello stagno.
In realtà, non era un masso, piuttosto un isolotto dirupato e boscoso, dal litorale ricoperto di pietre, cenere e minerali cristallizzati, quasi fosse stato spinto in superficie dalla mano stessa di Geb.
Si ricordò che Thaose gli aveva parlato di un posto dove acque ribollenti e ceneri ardenti salivano dal seno della terra rivestendone la superficie di lussureggiante vegetazione. Quel masso doveva essere uno di quei posti di cui parlava l’amico. Era screpolato di anfratti e Geb l’aveva rivestito di una vegetazione inquieta e rigogliosa: palme, cedri, acacie, sicomori e un enorme albero dalle radici grosse quanto il polso di un uomo,  che si tendevano sull’acqua come enormi tentacoli.
Djoser si aggrappò proprio ad uno di essi per saltare sul litorale dell’isolotto.
Neqau fece la stessa cosa; lasciò il posto di guardia e gli andò incontro, tendendo le dita artigliate nel tentativo di afferrarlo.
“Stai lontano da me, Neqau. – gli urlò il ragazzo, facendo un passo indietro – Io conosco il tuo ren e posso privarti della tua forza vitale, se mi costringi a pronunciarlo.”
L’altro gli rispose con uno sberleffo.
Da vicino l’aspetto era lo stesso di tutti i Demoni già incontrati: pelle quasi trasparente attraverso cui si vedevano le vene rigonfie e si sentiva il pulsare del sangue, una fronte prominente e sopracciglia talmente cespugliose che una coppia di passeri, pensò con ironia Djoser, vi poteva nidificare. Le labbra erano gonfie come una   barca e dagli  angoli della bocca sporgevano lunghe zanne. Eppure, niente di tutto ciò era impressionante quanto gli occhi, poiché gli occhi di Neqau erano umani. Freddi, ma umani. Luminosi e splendidi come gioielli: un misto dell’oro del Sinai, dell’agata di Sakkara, del turchese del Neged ed erano racchiusi fra due corone di ciglia setose. Uno sguardo sfavillante che inquietò il cuore del ragazzo più ancora del suo terrificante aspetto.
“Rinfodera i tuoi artigli, Neqau. – una voce alle spalle, dolce ed imperiosa insieme, costrinse Djoser a voltarsi – Questo viandante non è come gli altri: un’Anima-di-Luce ha preso forza vitale dentro di lui. E’ stato Geb, nostro Signore, a renderlo forte, poiché egli è un Ta-sa, un Figlio-della-Terra, protetto e nutrito dalla Natura.”
Djoser ammutolì; ma anche il Demone.
Stagliata nel vano di uno degli anfratti dell’isolotto, c’era una figura di donna che Djoser riconobbe e salutò:
  Ta-hit, Signora della Terra, che nascita al suo Signore,
   Signora dei minerali, che introduce e passa.
   Signora che custodisce il rame, il quarzo e il granito, salute a Te.”


Ta-hit, Dama di quel Pilone, era di una bellezza incomparabile: la pelle splendeva come una perla appena rubata all’ostrica, le labbra brillavano più della rossa corniola e gli occhi più del turchese. Sorrideva, mentre con la piccola canna che aveva in mano disegnava nell’aria un largo cerchio che andò allungandosi ed allargandosi come un enorme nastro luminoso sospeso sopra le acque..
Lasciò l’imbocco della grotta, salì su quel viottolo trasparente e l’attraversò, leggiadra e leggera. Non aveva ali, ma il suo avanzare era simile al movimento di una farfalla.
L’estremità della veste, una tunica bianca sorretta sulle spalle da borchie di rame, strisciava nell’aria proprio col fruscio di ali; di rame era ogni altro ornamento, lavorati ed intagliati come finissima maglia: dal diadema  ai bracciali, dalle cavigliere alla cintura che le stringeva la  vita.
Toccò terra ed era in tale sintonia con la natura, che al più lieve  contatto con un ramo sbocciava un profumatissimo fiore, al minimo tocco con un sassolino ne scaturiva una sfolgorante gemma: gemme e fiori che coglieva per ornarsene la persona.
Si muoveva con grazia infinita. E Djoser la guardava incantato.
Vegetazione, cielo e acqua, traevano bagliori dal candore della sua veste, tanto da sembrare un prolungamento della veste e la veste, un accessorio della natura.

Anche il Demone pareva incantato, poiché gli sfuggì un sospiro che indusse il ragazzo a dirottare l’attenzione su di lui e quale non fu la sorpresa: sotto i suoi occhi stava avvenendo la più incredibile delle metamorfosi.
Ebbe inizio dal  sincipite frontale, che prese ad assottigliarsi e levigarsi come sotto lo scalpello dello scultore: una fronte ampia e ben modellata su cui spiovve la folta, ribelle capigliatura.
Djoser vide la Dama tendere le mani verso quella selvaggia massa di capelli e raccogliere tra le dita le due ciocche laterali. 



Non era alta e Neqau chinò il capo. Ta-hit tirò indietro le due ciocche e gliele annodò con un cordino sulla nuca.
Quando Neqau sollevò la testa, il suo volto non aveva più nulla di bestiale ed era quello di un adolescente e Djoser notò che assomigliava straordinariamente a quello della Dama.
Il naso non era più quel promontorio bitorzoluto in cui si aprivano buchi ostruiti da lunghi peli, ma si alzava con linea nobile e pura e il mento si arrotondava con eleganza innata. Il sembiante, però, non aveva perso la sua aria selvaggia, ma questo ne aumentava ancor più il fascino; gli occhi, poi, che così tanto avevano colpito Djoser, erano veramente carichi di splendore. Anche la pelle era mutata; non più sottile e trasparente, ma rilucente di riflessi d’oro, come quella di Ta-hit, sua madre.
Che fossero madre e figlio, Djoser non ebbe alcun dubbio.
Senza staccare lo sguardo da quel volto, cominciò a recitare: 
   Ho celebrato la Festa-Haker.
    Sono venuto come scriba e ho guidato le offerte
“… e come scriba – lo interruppe la Dama – sei qui per la Conoscenza. Conosci il valore della Conoscenza, giovane viandante?”
“No, Signora di questo Pilone, ma so che si deve lasciar navigare la mente lungo fiumi sconosciuti e sentieri non battuti se si vuole arrivare là dove neppure nei sogni più arditi si ha il coraggio di avventurarsi… Così dice il mio maestro, il venerabile Hetpher, cui non sono ignoti molti dei segreti contenuti in Cielo e in Terra.”
Gli sguardi di madre e figlio si incrociarono.
“E’ per questo che vuoi attraversare questo Portale? – il giovanissino Guardiano indicò la fenditura nello scoglio; l’acqua ne lambiva l’entrata, sciabordando leggera  – Io dovrei fermarti, lo sai?”
“La sua è la Ricerca-della-Conoscenza, non la profanazione delle Cose-Nascoste. – Ta-hit perorò la sua causa - La sua anima è pura e nessuna Conoscenza può contaminarla.”
Ma il mio compito è fermarlo.” insisteva il Guardiano
  “Sono arrivato qui provvisto di He-kau. – intonò Djoser - Ho indossato lino come Thot e lascio qui i miei calzari…” e con queste parole il ragazzo si sfilò i calzari e si chinò a deporli ai piedi del Guardiano che scrollò le spalle, facendo cigolare le maglie del mantello di filamenti di metallo.
Quando Djoser si rialzò, la sua testa superava di poco la spalla del Demone dal volto d’angelo, il quale tese un braccio, solido e come scolpito nel granito, ed indicò il Pilone.

“Passa! Sei puro! - tuonò la voce del Pilone dalla cima dello scoglio- Tu possiedi il Coraggio, la Generosità, la Pietà, la Prudenza ed ora anche la Perseveranza, indispensabili per oltrepassare questo Portale.”
 Un fascio di luce abbagliante fuoriuscì dalla larga fenditura; il ragazzo fece istintivamente un passo indietro, ma Ta-hit lo invitò con un cenno della mano ad attraversare quella luce. (continua)

brano tratto dal libro DJOSER e i Libri di Thot
reperibili presso Editrice MONTECOVELLO oppure in rete: su AMAZON

o  direttamente presso l'AUTRICE, Maria  PACE
mariapace2010@gmail.com  -  scontato ed autografato

mercoledì 23 luglio 2014

NEL CANTIERE della PIRAMIDE di KHAFRA (Kefren)






.......................
La stagione Akhet era giunta da più di due mesi, ma lo straripamento delle acque non accennava a diminuire e il Paese era diventato una sola grande valle allagata. Le campagne avevano spopolato e le masse di contadini avevano passato il Nilo per lavorare alla costruzione del complesso funerario del Faraone.
Coordinare l'impiego di tanta gente non era facile, pensava Djoser, osservando da lontano le attività del  cantiere. Per i funzionari governativi doveva essere faticoso e difficile quanto il lavoro stesso.
Le cose che bisognava fare affinché il lavoro procedesse spedito erano tante: evitare lunghe  interruzioni, procurare l'arrivo dei blocchi al momento giusto, rinnovare in tempo utile gli arnesi rotti, predisporre il ricambio delle squadre di operai. In realtà, nella costruzione di quei giganteschi edifici, solo una piccola  parte  di  operai   specializzati veniva occupata a tempo pieno. La massa di contadini e soldati, una moltitudine di persone orgogliose  di contribuire   con il proprio lavoro all’Immortalità del Faraone, era impiegata solo durante la piena.
Djoser attraversò il campo. Brulicava di gente operosa e divisa in squadre. C'era la "Squadra Valente", che misurava blocchi e  smussava angoli. C'era quella del “Fiume Sacro”, che accatastava legna e fabbricava utensili e c'era la squadra del "Toro Vincitore", che martellava e tagliava, adoprando larghe seghe di pietra e rame. Altre squadre trasportavano cibo, acqua, argilla; altre ancora spostavano blocchi o li trasportavano su rampe. C'erano quelle che fissavano corde o numeravano massi e c’erano molte altre ancora.
Djoser aveva tanti amici fra quella gente; gente in gamba, capace e fidata: architetti, riproduttori d’immagini, tagliatori di pietre, creatori di gioielli. Insieme, costituivano una piccola comunità in seno alla società. Persone reciprocamente legate da principi di solidarietà e appartenenza; persone pronte ad aiutarsi, a sostenersi ed a sostenere gli speciali privilegi che il vivere all’ombra delle Piramidi concedeva loro. Djoser li conosceva quasi tutti. Conosceva i loro nomi, le famiglie, le vicende ed era diventato uno di loro.

"Djoser, sei tornato?"
Qualcuno lo chiamò dall'alto di una delle rampe, agitando le braccia per attirare la sua attenzione; Djoser si girò in quella direzione.
Le rampe, che dall’angolo inferiore salivano verso l’alto, avvolgevano a serpentina la Piramide in costruzione.
Il ragazzo sollevò il capo; era già così alta da oscurare il sole.
"Sono tornato." rispose; l'altro si affacciò dalla piattaforma della rampa. Dietro di lui un gruppo di uomini spingeva un pesante masso. Larga quasi trenta cubiti, per permettere alle slitte che procedevano nei due sensi di non ostacolarsi, era una vera e propria strada. La pendenza, piuttosto dolce e controllata, di poco superiore ai quattro gradi, consentiva alle slitte di non scivolare indietro ed evitava un lavoro eccessivamente gravoso agli uomini addetti al traino. Sul lato esterno un muro di pietrisco e mattoni crudi faceva da parapetto.
Il   ragazzo   attraversò di corsa     il primo tratto, il più affollato,
ingombro di uomini, utensili e blocchi di pietra numerati. Ognuno di quei lastroni recava scritte per facilitarne la collocazione.
"Sei stato via più di sessanta giorni. Ero in pensiero. – riprese l’uomo, continuando ad agitare le braccia – Temevo ti fosse successo qualcosa. Dove sei stato? - sui quaranta anni, alto, il fisico asciutto e il fare autoritario, era certamente un caposquadra - Qui tutti chiedono di te. Dov’é Djoser? Quando torna Djoser? Perché non torna Djoser… Dove sei stato in tutto questo tempo?"
"Non  lontano da qui." rispose   evasivo il ragazzo percorrendo la seconda rampa. Man mano che saliva e che la costruzione svettava verso l’alto, diminuiva lo spazio e il numero degli uomini.
Djoser raggiunse la terza rampa e il caposquadra.
Visto da quell’altezza il cantiere sembrava un termitaio allo scoperto, vivace e movimentato. Da lassù si vedeva bene ogni cosa: il tempio a Valle quasi ultimato, le ultime assise di pietre della Strada Sacra, la Sfinge. Si vedeva bene anche l’intricato dedalo di viuzze che correvano serpeggiando intorno ai magazzini reali, ad occidente del canale. Più lontano, il Nilo si snodava sinuoso ed impetuoso a causa della Piena che non accennava a calare.
"Salute a te, Siptha, che rivedo volentieri." volse le spalle al fiume e salutò con le braccia all'altezza delle spalle.
"Ti rivedo con piacere anch’io, mio giovane amico. Ma non hai risposto alla mia domanda. Dove sei stato? Qui sentono tutti la tua mancanza. Alcune cose non vanno bene, quaggiù!"
"Ci sono cambiamenti qui, vedo."  Djoser si guardò intorno.
"Il funzionario Hatmut mi ha mandato questa squadra, ma è piuttosto fiacca - si lamentò - e il lavoro procede a rilento.”
"Vedo   laggiù Amosis.  - replicò il ragazzo - Lui è un lavoratore instancabile e molto capace, ma non vedo suo fratello Thotmosis."
"Thotmosis oggi non c'è. - spiegò il caposquadra - Il suo asino è malato e lui ha preso due giorni di permesso per curarlo.”
“La sua mancanza si fa sentire!” osservò il ragazzo.
“Già! Nessuno è capace di poggiare un blocco accanto all'altro con la stessa precisione, in modo da non permettere ad una sola pagliuzza di starci fra le fessure."
Anche Djoser conosceva ed apprezzava, come tutti, la competenza di Thotmosis, il quale non avrebbe certo approvato il lavoro degli operai della nuova squadra.
"Guarda qui, Djoser. Guarda in che modo maldestro sono state posate queste pietre.”
“Già! Non ce n’è una sola che combaci con l’altra." assentì il ragazzo, con accento di disapprovazione.

(continua)

brano tratto da DJOSER e lo Scettro di Anubi"  di Maria PACE
editrice MONTECOVELLO

si può richiedere il libro all'Editrice - in libreria oppure
AUTOGRAFATO presso l'Autrice

mariapace2010@gmail.com



brano tratto da DJOSER e lo Scettro di Anubi"  di Maria PACE
editrice MONTECOVELLO

si può richiedere il libro all'Editrice - in libreria oppure
AUTOGRAFATO presso l'Autrice
mariapace2010@gmail.com

IL REN... il nome segreto




Antico Egitto e… il nome
Il mio nome è MARIA PACE. Il ren, ossia il nome, dicevano gli Antichi Egizi, é lo strumento che conferma l’esistenza di una persona, uomo o donna. Senza il proprio nome, dicevano, la persona non esiste.
Questo, d’altronde, vale anche ai giorni nostri: basta guardare gli imbarazzanti atteggiamenti dei concorrenti dei vari reality che imperversano in TV.
Ai tempi degli antichi Egizi, il nome era una cosa seria. Ne volete una prova?
ISIDE, la più potente fra le Divinità femminili del Pantheon egizio, narra una leggenda, decise un giorno di concentrare in sé tutta la potenza divina, detenuta dal vecchio e bavoso Ra, Padre degli Dei.
Con la complicità di TIAMAT, Dea-serpente, iniettò del veleno nel corpo di RA e lo ricatto:
“Rivelami il tuo ren, il Tuo nome segreto, ed io ti libererò di questa sofferenza.”
Il Padre degli Dei temporeggiò e provò ad ingannarla:
“Io sono Khepry che sorge al mattino – disse – Ra che arde a mezzogiorno e Ammon che tramonta a sera.”
“Questo non è il tuo ren.” insistette la Dea.
Quando RA capì che ISIDE non avrebbe ceduto, fu lui a capitolare:
“Figlia ingrata!” proruppe e la pregò di accostare l’orecchio alle sue labbra affinché altri non udissero il suo divino-ren.
Se tutto ciò non vi pare ancora sufficiente a comprendere l’importanza del “nome” per gli antichi Egizi, sentite questa, allora!
Sapete quel che il faraone Thutmosis III fece a sua zia, la famosa Regina-Faraone Huthsepsut, Grande Consorte Reale di Thutmosis II?
La Regina si fece sedurre dal potere e, di fatto, regnò per diciassette anni circa sul Paese. E non come Reggente, (Thut III era ancora ragazzo) ma come una vera Sovrana.
Quando il nipote-figliastro riuscì ad agguantare il potere, fece scomparire il nome, si dice, da tutti i suoi monumenti. Cancellandone il nome, il Faraone volle cancellarne il ricordo, la memoria e l’esistenza stessa.
Davvero straordinari, questi Antichi Egizi, eh!!

VITA da FARAONE

Vita da Faraone
VITA  DA  FARAONE

Il Faraone era un Sovrano diverso da tutti gli altri e diversa era anche la sua vita.
A differenza delle altre civiltà dell'età del bronzo le quali si  svilupparono in una serie di città-stato rivali tra loro, l'Egitto manifestò subito una tendenza verso una unità nazionale personificata nella figura del suo Dio-Re al cui modello umano finirono per uniformarsi, gradatamente, tutte le altre Divinità.  La figura del Dio-Re, concreta e tangibile, riusciva a soddisfare le esigenze di un popolo che possedeva di Dio un'immagine reale.
L'intero Paese prendeva parte alla "creazione" de suo Re-Dio fin dalla sua Incoronazione, una Cerimonia a cui partecipavano tutti gli Dei ed in cui  egli riceveva le varie Corone: la Corona Rossa del Basso Egitto, la Corona Bianca dell'Alto Egitto, ma anche  il Casco Blu da combattimento o la Coroma  Atef, ecc...  tutte oggetto di culto.

La concezione di Sovrano quale Dio-Incarnato faceva di lui la personificazione della Ma'at, vocabolo che tradotto vuol dire "Rettitudine" "Giustizia" "Verità", cosicché, con la sua Incarnazione, il Sovrano diventava il garante della Giustizia e  dell'Ordine Precostituito delle cose.
Con lui si apriva una nuova era. Ad ogni cambiamento di Re,  l'intero universo veniva ricreato secondo lo schema originario: la Ma'at, infatti, poggiava sulla tradizione degli eventi avvenuti in passato ed ai quali, nelle sue azioni, il Re doveva uniformarsi. La  Regalità,  infatti, era immortale e non riferita alla persona fisica, bensì al concetto che rappresentava.
Il Faraone che appariva per la prima volta al suo popolo era paragonato al Sole, ma  ciò che si celebrava attraverso la Cerimonia di Incoronazione non era la persona, non era l'uomo, ma l'istituzione e il principio che incarnava e cioé la Regalità-Divina.
Al suo copetto, così come al cospetto di ogni altra Divinità, ci si presentava con le dovute precauzioni perché l'inflenza e l'influsso che emanavano dalla sua persona erano quelle di un Dio, capaci di folgorare e incenerire.

Per questo il Faraone era diverso da ogni altro Sovrano; egli  non poteva comportarsi secondo la propria volontà, ma doveva render conto al suo popolo ed agli Dei di cui era l' Incanazione ed all'universo di cui era il garante.
La regolamentazione delle sue attività e della sua condotta erano assai rigide e come disse Diodoro:
"... egli aveva un tempo fissato non solo per quando doveva tenere udienze. rendere giustizia, ma anche per quando doveva passeggiare, fare il bagno o dormire con la consorte. In una parola, per ogni attività."
Ogni suo atto, pubblico o privato, era determinato da Leggi prescritte e non da volontà propria. A servirlo, inoltre, non erano servi o schiavi comuni, ma personale giovane e qualificato appartenente alle più nobili famiglie.
La vita di un Faraone, pertanto,  non era  semplice e non sempre piacevole, come per certi sovrani di altre epoche o Paesi, ma piuttosto gravosa e pesante. Cominciava fin dal mattino un complicato rituale che andava dal risveglio alla cura della persona e alla scelta dell'abbigliamento: dalla parrucca ai sandali.
Uno dei titoli più ambiti era quello di "Portatore dei Sandali del Re".
Gli impegni quotidiani erano molteplici: doveva concedere udienze, praticare il culto, esercitare la giustizia... il sacro e il quatidiano, dunque, erano  legati indissolubilmente  nella sua persona di Uomo-Dio.

I MATRIMONI INCESTUOSI dei FARAONI

I  matrimoni incestuosi dei Faraoni
Perché i Faraoni sposavano figlie e sorelle, praticando, così, l’incesto?
La domanda è legittima e la risposta pare scontata:
“Per preservare la purezza del sangue.”
Un fondo di verità c’è, in questo, ma ci sono anche altre cause: tradizione, politica, religione…
Sappiamo che l’Egitto non era il solo Paese a seguire tale consuetudine: il babilonese Abramo aveva per Sposa Primaria la sorella Sarai e l’ittita Suppilulumia, di sorelle ne aveva sposate addirittura due.
In realtà, in Egitto l’incesto era considerato un reato e come tale punito, ma solo per la gente comune.
Perché, dunque, quella pratica contro natura nelle Famiglie Reali?
In Egitto ( e non solo in Egitto) il trono si ereditava per via femminile: durante il matriarcato prima e in retaggio di tale sistema, dopo.
Era nelle vene della Grande Consorte Reale che scorreva il “sangue divino” ed era lei ad essere, da sempre, considerata “Figlia di Dio”. (basta dare uno sguardo alle iscrizioni del Tempio di Deir El Bahary, il Complesso Funerario di Huthsepsut, la Regina-Faraone)
La Grande Consorte Reale trasmetteva alla principessa ereditaria il suo sangue divino assieme al diritto al trono:  questo, dunque, era “proprietà” della Grande Regina e passava in eredità alla figlia femmina e non al figlio maschio.
Il principe ereditario, designato dal Faraone in carica, lo riceveva dopo un complesso cerimoniale che possiamo riassumere in tre momenti:
- Le Nozze Divine:  tra la principessa ereditaria e il Dio Dinastico (Ammon, nel Nuovo Regno - Ra o Ptha nell'Antico Regno), celebrate nel Tempio Dinastico di Karnak, a Tebe: uno dei misteri più impenetrabili dell’Antico Egitto. (siamo ancora nel Nuovo Regno)
- Le Nozze regali:  della principessa e futura Regina con il principe ereditario
- L’atto sessuale: e il conseguente mescolamento di sangue.
Attraverso tale cerimoniale lo spirito del Dio-Dinastico passava dal corpo della principessa in quello del principe: il futuro Faraone. (Per-oa, ossia Palazzo Divino:  il luogo in cui si incarnava la Divinità. Faraone, che vuol dire Incarnazione di Dio )
In teoria,  ogni uomo poteva, sposando la principessa ereditaria, diventare Faraone.
Il pericolo di guerre dinastiche tra principi era reale ed elevato; non esisteva diritto di primogenitura, ma solo quello di designazione da parte del Faraone, anche se di norma ad essere designato era, ma non sempre, il primogenito. (Ramseth II, ad es. era il quarto figlio di Sety e il fratello primogenito gli mosse guerra; Keope, al contrario,  era il quinto figlio di Snefru e suo fratello primogenito fu tra i progettisti della Grande Piramide)
Reale ed elevato era anche quello costituito da guerre di conquista da parte di stranieri.
Il Faraone in carica, dunque, alla nascita della principessa ereditaria le assegnava un marito: uno dei principi ereditari. Accadeva, però, anche che la prendesse in sposa egli stesso, in assenza di fratelli.
Così fece il faraone Amenopeth IV (conosciuto anche come Akhenaton), che sposò tutte e sei le figlie; Sua Maestà Sety I, invece, fece sposare due sorelle al suo successore designato: Ramesse II (che pure era già sposato con la bellissima ma molto borghese Nefertari)
Lo stesso fece il faraone Thutmosis I con il figlio Thutmosis II, che diede come marito alla celeberrima Huthsepsut, Regina-Faraone.
nota: si suppone che sia stato per impedire una guerra dinastica che la principessa Maritammon, figlia di Akhenaton, e sorella di Anksenammon, moglie del celeberrimo Thut-ank-Ammon abbia finito per sposare il generale Haremhab diventato, in seguito a ciò, Faraone:  un Faraone usurpatore e anello di congiunzione con la XIX Dinastia  dei Ramessidi... usurpatori anch'essi..

martedì 22 luglio 2014

ISTITUZIONE FARAONICA

ISTITUZIONE  FARAONICA
ISTITUZIONE  FARAONICA

Se, come disse Ecateo di Mileto, l'Egitto era un dono del Nilo, a sostenere la società era l'istituzione faraonica. Essa era la mente, l'anima, il cuore e la guida della società e qualsiasi paragone con qualunque altro tipo di società  non é neppure ipotizzabile.
Il Sovrano era al centro della storia e degli eventi di una società che non era guidata da precetti prescritti da Libri Sacri come Bibbia, Corano, ecc..  L'Egitto non ha mai avuto un Libro Sacro, né Rivelazioni o Apparizioni Divine che dettassero vincoli e comportamenti da seguire.
Il Faraone non aveva bisogno di "incontrare" Dio poiché egli stesso era Dio o Figlio di Dio, discendente di quegli Dei che regnarono sulla terra prima di lui.
Le Liste dei Faraoni, infatti, cominciano sempre da Regni  Divini:
- Regno degli Dei
- Regno dei Semidei o Esseri di Luce, figli di un Dio e di una donna mortale, ultimo dei quali fu il    Re-Scorpione, della Dinastia "O"
- Regno degli Uomini, primo dei quali fu Narmer

Le  origini della Regalità Divina risalgono ad epoca preistorica ed alla figura della stregone che nella società tribale era strettamente legata ai fenomeni della natura, la pioggia, soprattutto, da cui dipendevano pascoli, raccolto e bestiame. I primi sovrani conservarono gli attributi di questi capi stregoni:  bastone del comando, coda di leone,  barba posticcia, abito cermoniale, ecc.  Regalità  e Natura-Cosmo erano, dunque, strettamente connessi:  lo stregone d'epoca preistorica, capace di di controllare magicamente fenomeni atmosferici, si traforma nel Re  capace di esercitare il potere sulle Acque regolandone le piene, richiamare le piogge, allontanare la siccità, scacciare le tenebre, ecc...
Un legame con Cosmo e Natura davvero unico e particolare.
Ma  il potere del Re é legato anche alla sua forma fisica; quando questa comincia a decadere egli viene ucciso e le ceneri disperse per rendere fertile la terra.
Questo in età preistorica (vi sono cenni nei Testi delle Piramidi).
In età storica l'uccisione del Sovrano è solo simbolica e comprende un complesso  cerimoniale,  la "Festa Zed" o Giubileo, attraverso cui  egli riacquista forza e vigore per  tornare ad esercitare  il  "potere" sugli elementi della Natura.
Non si tratta, in verità,  di un potere dispotico e tirannico, come spesso si equivoca (cinema e letteratura) e si é equivocato in passato (storici come Erodoto o passi bibloci ), bensì di un comportamento di responsabilità ed equilibrio volto al raggiungimento del benessere del popolo.
Egli perciò é un sapiente, un dotto, un saggio. Studia gli Astri, le Acque, la Natura e frequenta Templi  e e Scuole alla ricerca di quegli Insegnamenti degli Antenati sui cui principi di saggezza poter  guidare la propria condotta,  che deve essere perfetta ed ineccepibile.
Egli é la personificazione della Ma'at, ossia la Verità, la Giustizia, la Rettitudine,  l'Ordine Cosmico Naturale e possiede anche i mezzi per provvedere ad istituire oppure restaurare la Ma'at che  sono la "Conoscenza delle Cose"e il "Verbo Creatore" o "Parola Magica", le He-Kau: con la seconda mette in atto la prima.

Ne consegue che, qualunque fosse il carattere meramente personale e umano di quegli uomini, la loro funzione e caratteristica regale-divina ne era nettamente scissa.
La morte di un Faraone, come tale e non come uomo, era un evento tragico e drammatico  per il Paese il quale lo viveva con angoscia e paura e nella trepida attesa del successore.
Sempre più spesso, però, questo successore era già presente,  Correggente del Faraone in carica e ciò per evitare tensioni e guerre dinastiche.
Quanto al Sovrano, la sua morte non era un evento conclusivo, ma solo un momento di transizione per salire in cielo e unirsi al suo  Creatore, abbandonando definitivamente la terra dove era vissuto quale "Horo incarnato".
Questa, dunque, la concezione di Sovrano durante l'Antico Regno, concretizzata e condotta all'apice attraverso la costruzione della "Mer", la Piramide, in cui viene coinvolto l'intero Paese.
Ma é proprio in quest'apice che inizia un sottile cambiamento nel concetto di una così  particolare istituzione:  il Re cessa di essere Dio e diventa Figlio-di-Dio , discendente  del  Dio che ha governato l'Egitto fin dall'origine del mondo. E ancora più tardi diventerà Per-Oa, Faraone, ossia Palazzo-Divino, ossia Incarnazione di Dio. E quel Dio sarà Horo e alla sua morte,  il Sovrano si identificherà con Osiride,  padre di Horo.

Il Faraone, dunque, é anche un uomo. Può accadere che la sua "divina influenza" si attenui, che gli Dei di cui é tramite si allontanino; la conseguenza (guerre, carestia, siccità)    ricade su  tutto il Paese.  Per questo occorre disporre non solo di "energie divine e soprannaturali", ma anche  di forze naturali e materiali e il Faraone dispone di entrambe: Magia e Soccorso-Divino, ma anche esercito e organizzazione amministrativa.
Nel Nuovo Regno i Sovrani dovettero  combattere per ottenere e conservare  il potere; i Sovrani-Guerrieri più famosi sono proprio quelli appartenenti a queste Dinastie.
Lo stesso Faraone ( il termine si fa risalire proprio a tale epoca, attribuendolo a Thutmosis III)
 scendeva in campo, quale incarnazione di Montu, Dio della Guerra, per  sbaragliare nemici ed assoggettare popolazioni, na anche per affermare il proprio prestigio  e la propria Regalità-Divina. E con Amenopeth III°  il concetto di regalità-divina raggiunse davvero l'apice,  con l'erezione di colossali statue del Faraone e di  Templi grandiosi, così da spingere il Sovrano a venerare se stesso fra gli Dei.
Lo farà anche Ramseth II, quando si farà raffigurare nella Triade di Tebe quale Figlio di Mut ed Ammon, al posto di Konsu.  (foto)

FARAONE... da dove arriva questo temine?

FARAONE: da dove arriva questo termine?
Il termine Faraone è la traduzione del greco PHAR-ON; traduzione, a sua volta,  dell’antico termine egizio: PER-Aa, ossia, PALAZZO-DIVINO o CASA-DIVINA.
Il FARAONE, dunque, non era considerato DIO oppure Figlio di DIO (come nelle prime Dinastie), bensì: Incarnazione di DIO.
Il corpo del Faraone era, cioè, il “Palazzo” in cui viveva lo Spirito del Dio: il dio Horo, per la precisione, figlio di Iside ed Osiride, i quali, tutti e tre insieme, formavano la TRIADE o Sacra Famiglia… niente di nuovo sotto questo Cielo!

EGITTO... da dove arriva questo termine?

EGITTO... da dove arriva questo termine?

E’ la traduzione italiana del greco Ae-gi-Pthos, che a sua volta traduce l’antico termine egizio: Hut-Ka-Ptha.
Il significato letterale è:
DIMORA (Hut) dello SPIRITO (Ka) di PTHA.
E’ la III Dinastia e PTHA è IL Dio Dinastico di MEMFI.
In precedenza il territorio era indicato con altro nome: “Il Paese delle Due Terre”.
Le Due Terre erano: - KEM  o  “Terra Nera”  e
- DESHRET  o “Terra Rossa”.

L’unificazione delle Due Terre avvenne dopo varie ed alterne vicende, militari e diplomatiche, e un “Concilio”, in cui si decise di dare quel nome a tutto il territorio, in onore di PTHA, IL DIO CREATORE.
Curiosità: la parola ALCHIMIA deriva proprio da KEM (terra nera), che i tanti sognatori cercavano di manipolare chimicamente per trasformare in oro il materiale vile.


KA-F-RA o KEFREN


KEFREN... e la Sfinge




Il nome di questo gigante della IV Dinastia dei Sovrani d'Egitto é legato soprattutto alla costruzione della Piramide e della Sfinge, una delle tante raffigurazioni del Sovrano.
Figlio di Keope, egli succedette al padre dopo il breve regno di un altro fratello, Djedefra,  e come questi, anch'egli inserì nella lista dei titpoli quello di "Figlio di Ra", a  dimostrazione dell'affermazione del culto solare nel  Paese.

Kafra, il nome egizio, significherebbe: Ra quando sorge.
 Sotto il regno di questo Sovrano non pare vi siano  stati eventi storici di rilievo. In realtà, il Paese attraversò un periodo di pace e prosperità e lo dimostrano  proprio la Piramide e la Sfinge fatte da lui costruire.
Tendenziose e falso, dunque, il giudizio dello storico greco Erodoto il quale già s'era espresso assai durmente nei confronti di Keope. Secondo Erodoto, infatti, egli sarebbe stato un tiranno proprio come suo padre ed ecco in che termini si esprime:
"... gli egiziani, per odio, questi Re non vogliono neppure nominarli."
E aggiunge, tralasciando il particolare non trascurabile che si sta esprimendo su fatti risalenti e tremila anni prima:
"Le Piramidi erano attribuite al pastore Filitis che in quel periodo pascolava in quei luoghi."
Oggi lasciamo che queste affermazioni si commentino da sole.

Chi era questo Filitis?
In realtà, chi sia questo Filitis nessuno lo sa (sicuramente non lo sapeva Erodoto), ma si tende a collocarlo nell'epoca delle invasioni di popolazioni settentrionali  provenienti  dal Medio Oriente. Così facendo, però, si fa un salto  cronologico di almeno mezzo millennio.
Oggi nessuno fra gli studiosi e storici seri e preparati crede più alle calunniose favole raccontate per secoli
KEFREN... e la Sfinge
La Sfinge, questo straordinario monumento è assurto a simbolo dei misteri che ancor oggi circondano la civiltà egizia, porta il volto di questo Faraone e risale al 2570 a. C.
Corpo leonino e testa umana, sulla fronte  l’urex, il cobra reale, la Sfinge simboleggia la natura divina del Faraone e nella storia dell'arte dell'uomo non c'è nulla che soprende quanto questo volto, simbolo del più profondo mistero.
Durante lo scorrere di tutti questi secoli, non c’è stata generazione capace di sottrarsi al suo fascino enigmatico.
Per gli Arabi era Abu-el-hol, ossia, “Padre della paura”, a testimonianza dei sentimenti di timore che l’immenso colosso di pietra era capace di suscitare in gente superstiziosa che la credeva una raffigurazione del male; per gli Antichi Egizi, però, era la Shepes-ank, “L’Immagine Vivente”, provvista di Ka e Ren = Spirito e Nome.
Imponente ed enigmatico, fin dall’antichità, questo colossale felino di pietra ha alimentato leggende ed aneddoti. (talvolta anche riprovevoli)
Ricordiamo il faraone Thutmosis IV che, ancora ragazzo, a seguito di un sogno in cui la Sfinge gli prometteva il trono se l’avesse liberata della sabbia che minacciava di seppellirla, le dedicò una stele. I Mamelucchi, qualche millennio dopo, l’aggredirono a cannonate, portandole via il naso e, più recentemente, avventurieri senza scrupoli usarono la dinamite per penetrare al suo interno nella speranza di trovarvi tesori.

RE SCORPIONE


RE SCORPIONE e la Dinastia "O"

RE  SCORPIONE e la Dinastia "O"
Studiosi ed egittologi hanno diviso (per comodità) la Storia egizia in lunghi periodi: Antico, Medio e Nuovo Impero, interrotti da  un  Primo e Secondo periodo Intermedio in cui si susseguirono 30 Dinastie.
Sulle prime Dinastie, però, ancor oggi vi sono dubbi ed incertezze circa la datazione e gli stessi Sovrani. Cosicché, si è circoscritto un periodo (e le sue vicende) racchiudendolo in una “DINASTIA O”  antecedente al 3.200 a.C.
Nella presentazione di alcuni Faraoni noti e meno noti, partiremo proprio da uno di questi Sovrani appartenuto alla Dinastia O e conosciuto con il nome di:
RE SCORPIONE

Fu l’ultimo Sovrano della Dinastia 0.
Va precisato che non si trattava di veri e propri sovrani, ma di capi e principi locali.
Secondo le antiche credenze religiose e storiche, in Egitto in origine regnavano gli Dei, cui succedettero i Semi-Dei, i quali prepararono l’avvento al trono agli uomini.  Re Scorpione, secondo la tradizione, fu l’ultimo dei Re Semi-Dei.
Comparve sulla scena nell’Alto Egitto quasi all’improvviso ma, in realtà, la sua presa di potere fu frutto di strategia militare, diplomazia e conoscenza scientifica in relazione soprattutto alla metallurgia dell’epoca del bronzo, alla distribuzione delle acque mediante la canalizzazione ed alla creazione di "chiuse" ed allo sviluppo dell’agricoltura.
Scorpione fu anche un Re-Guerriero e lo testimonia la straordinaria “Mazza da guerra” in calcare, proveniente dal sito di Jerancopoli, l’allora capitale del territorio e conservata al Museo di Oxford. Vi é anche raffigurato, però, il Sovrano nell'atto di compiere una Cerimonia Solenne durante la ripolitura di canali di irrigazione, dopo il ritiro delle acque che vi avevano  deposto il fertile limo.
Questo reperto costituisce, in sostanza, l’affermazione di Sovranità  da parte di Re Scorpione (questo nome gli è stato attribuito dagli storici a causa del geroglifico di scorpione inciso sulla mazza)  su tutto il territorio dell’Alto Egitto ( il Sud del Paese) e sulle popolazioni, compresi i nomadi che si spostavano di oasi in oasi.
Sara con lui che si comincerà  a delineare l'Egitto Faraonico.


Lo Scorpione non è certo il personaggio presentato nell’ultimo film, (dagli effetti speciali e dalle tante inesattezze storiche) ma è certamente una figura straordinaria.  Non si presenta come un principe o capo-clan, (numerosi, all’epoca), ma come un vero Monarca incoronato.
Non si limita a guerreggiare e conquistare popoli e territori, ma trasforma paludi e terre aride in terre coltivabili.  Controlla le piene del fiume, costruisce dighe, chiuse e canali,  favorisce lo sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia, quello della lavorazione del legno e del metallo, della tessitura e della ceramica. Soprattutto del metallo: estrazione, lavorazione e trasformazione.
Lo Scorpione è, in verità, il primo grande Sovrano di un Egitto non ancora unificato.
Su di lui fioriscono molte leggende, leggende, che affondano le proprie radici in miti assai lontani, risalenti alla lotta fra i Seguaci di Horo e i Seguaci di Seth.   Si tratta di un mito (quello della lotta fra Horo e Seth) che trova riscontri nelle vicende storiche e cioè, nelle lotte con alterne vicende fra popolazioni dell’Alto e del Basso Egitto prima dell’unificazione dell’intero territorio.
Il mito.
Scorpione, il cui nome dovrebbe essere Selk-Hor (Selk, come Scorpione e Hor, come seguace di Horo), secondo la leggenda era figlio di un principe locale seguace di Horo e della dea Scorpione. Sterminata la famiglia a seguito di un’ennesimo scontro (o congiura) e scampato all’eccidio, il ragazzo venne allevato da un fedele servitore.
Valente guerriero e gran conoscitore della metallurgia, costui lo rese edotto dei “segreti della natura” e lo avviò alle armi, fino al momento della riscossa che lo renderà il protagonista dellinizio di una delle più straordinarie avventure dell'uomo... il resto è quel poco che si può dedurre dalle scoperte archeologiche.

nota:  chi volesse approfondire la storia di questo straordinario personaggio é rimandato alla lettura di:
"DJOSER e i Libri di Thot"  di Maria Pace
da richiedere in ogni libreria o reperibile su
ibs.it   -  amazon.it  -  libreriauniversitaria.it -  webster.it  - goodbook.it  -  la feltrinelli.it -  ecc. o direttamente a:
www.montecovello.com/libro/fn/AXQGBWVOPD/djoser+e+i+libri+di+thot