Non aveva torto, Djoser: l’aspetto di Neqau era davvero inquietante; alto e prestante, in mano reggeva mazza e bastone. Si era fermato sul bordo dello stagno e guardava verso di lui. Spalle e torace erano nascosti da un luccicante mantello che mandava bagliori al più lieve movimento, come se fosse tessuto non con lana, lino o altra fibra, ma con filamenti di rame o altro metallo; da sotto spuntavano gambe taurine. Dall’enorme testa, però, spioveva sulle orecchie, anche queste taurine, una folta capigliatura umana.
Da quella distanza Djoser non distingueva bene il suo volto, ma doveva essere certamente mostruoso. Gli lanciò
un’occhiata un po’ preoccupata prima di affrontare l’ultimo masso, che si
trovava proprio al centro dello stagno.
In realtà, non era un masso, piuttosto un isolotto dirupato e boscoso, dal
litorale ricoperto di pietre, cenere e minerali cristallizzati, quasi fosse
stato spinto in superficie dalla mano stessa di Geb.
Si ricordò che Thaose gli aveva parlato di un posto dove acque ribollenti e
ceneri ardenti salivano dal seno della terra rivestendone la superficie di
lussureggiante vegetazione. Quel masso doveva essere uno di quei posti di cui
parlava l’amico. Era screpolato di anfratti e Geb l’aveva rivestito di una
vegetazione inquieta e rigogliosa: palme, cedri, acacie, sicomori e un enorme
albero dalle radici grosse quanto il polso di un uomo, che si tendevano sull’acqua come enormi
tentacoli.
Djoser si aggrappò proprio ad uno di essi per saltare sul litorale
dell’isolotto.
Neqau fece la stessa cosa; lasciò il posto di guardia e gli andò incontro,
tendendo le dita artigliate nel tentativo di afferrarlo.
“Stai lontano da me, Neqau. – gli urlò il ragazzo, facendo un passo
indietro – Io conosco il tuo ren e posso privarti della tua forza
vitale, se mi costringi a pronunciarlo.”
L’altro gli rispose con uno sberleffo.
Da vicino l’aspetto era lo stesso di tutti i Demoni già incontrati: pelle
quasi trasparente attraverso cui si vedevano le vene rigonfie e si sentiva il
pulsare del sangue, una fronte prominente e sopracciglia talmente cespugliose
che una coppia di passeri, pensò con ironia Djoser, vi poteva nidificare. Le
labbra erano gonfie come una barca e
dagli angoli della bocca sporgevano
lunghe zanne. Eppure, niente di tutto ciò era impressionante quanto gli occhi,
poiché gli occhi di Neqau erano umani. Freddi, ma umani. Luminosi e splendidi
come gioielli: un misto dell’oro del Sinai, dell’agata di Sakkara, del turchese
del Neged ed erano racchiusi fra due corone di ciglia setose. Uno sguardo
sfavillante che inquietò il cuore del ragazzo più ancora del suo terrificante
aspetto.
“Rinfodera i tuoi artigli, Neqau. – una voce alle spalle, dolce ed
imperiosa insieme, costrinse Djoser a voltarsi – Questo viandante non è come
gli altri: un’Anima-di-Luce ha preso forza vitale dentro di lui. E’
stato Geb, nostro Signore, a renderlo forte, poiché egli è un Ta-sa,
un Figlio-della-Terra, protetto e nutrito dalla Natura.”
Djoser ammutolì; ma anche il Demone.
Stagliata nel vano di uno degli anfratti dell’isolotto, c’era una figura di
donna che Djoser riconobbe e salutò:
“Ta-hit, Signora
della Terra, che dà nascita al suo
Signore,
Signora dei minerali,
che introduce e passa.
Signora che custodisce
il rame, il quarzo e il granito, salute
a Te.”
Ta-hit, Dama di quel Pilone, era di una bellezza incomparabile: la
pelle splendeva come una perla appena rubata all’ostrica, le labbra brillavano
più della rossa corniola e gli occhi più del turchese. Sorrideva, mentre con la
piccola canna che aveva in mano disegnava nell’aria un largo cerchio che andò
allungandosi ed allargandosi come un enorme nastro luminoso sospeso sopra le
acque..
Lasciò l’imbocco della grotta, salì su quel viottolo trasparente e
l’attraversò, leggiadra e leggera. Non aveva ali, ma il suo avanzare era simile
al movimento di una farfalla.
L’estremità della veste, una tunica bianca sorretta sulle spalle da borchie
di rame, strisciava nell’aria proprio col fruscio di ali; di rame era ogni
altro ornamento, lavorati ed intagliati come finissima maglia: dal diadema ai bracciali, dalle cavigliere alla cintura
che le stringeva la vita.
Toccò terra ed era in tale sintonia con la natura, che al più lieve contatto con un ramo sbocciava un
profumatissimo fiore, al minimo tocco con un sassolino ne scaturiva una
sfolgorante gemma: gemme e fiori che coglieva per ornarsene la persona.
Si muoveva con grazia infinita. E Djoser la guardava incantato.
Vegetazione, cielo e acqua, traevano bagliori dal candore della sua veste,
tanto da sembrare un prolungamento della veste e la veste, un accessorio della
natura.
Anche il Demone pareva incantato, poiché gli sfuggì un sospiro che indusse
il ragazzo a dirottare l’attenzione su di lui e quale non fu la sorpresa: sotto
i suoi occhi stava avvenendo la più incredibile delle metamorfosi.
Ebbe inizio dal sincipite frontale,
che prese ad assottigliarsi e levigarsi come sotto lo scalpello dello scultore:
una fronte ampia e ben modellata su cui spiovve la folta, ribelle capigliatura.
Djoser vide la Dama tendere le mani verso quella selvaggia massa di capelli
e raccogliere tra le dita le due ciocche laterali.
Non era alta e Neqau chinò il capo. Ta-hit tirò indietro le due ciocche e
gliele annodò con un cordino sulla nuca.
Quando Neqau sollevò la testa, il suo volto non aveva più nulla di bestiale
ed era quello di un adolescente e Djoser notò che assomigliava
straordinariamente a quello della Dama.
Il naso non era più quel promontorio bitorzoluto in cui si aprivano buchi
ostruiti da lunghi peli, ma si alzava con linea nobile e pura e il mento si
arrotondava con eleganza innata. Il sembiante, però, non aveva perso la sua
aria selvaggia, ma questo ne aumentava ancor più il fascino; gli occhi, poi,
che così tanto avevano colpito Djoser, erano veramente carichi di splendore.
Anche la pelle era mutata; non più sottile e trasparente, ma rilucente di
riflessi d’oro, come quella di Ta-hit, sua madre.
Che fossero madre e figlio, Djoser non ebbe alcun dubbio.
Senza staccare lo sguardo da quel volto, cominciò a recitare:
“Ho celebrato la
Festa-Haker.
Sono venuto come
scriba e ho guidato le offerte”
“… e come scriba – lo interruppe la Dama – sei qui per la Conoscenza.
Conosci il valore della Conoscenza, giovane viandante?”
“No, Signora di questo Pilone, ma so che si deve lasciar navigare la mente
lungo fiumi sconosciuti e sentieri non battuti se si vuole arrivare là dove
neppure nei sogni più arditi si ha il coraggio di avventurarsi… Così dice il
mio maestro, il venerabile Hetpher, cui non sono ignoti molti dei segreti
contenuti in Cielo e in Terra.”
Gli sguardi di madre e figlio si incrociarono.
“E’ per questo che vuoi attraversare questo Portale? – il giovanissino
Guardiano indicò la fenditura nello scoglio; l’acqua ne lambiva l’entrata,
sciabordando leggera – Io dovrei fermarti, lo sai?”
“La sua è la Ricerca-della-Conoscenza, non la
profanazione delle Cose-Nascoste. – Ta-hit perorò
la sua causa - La sua anima è pura e nessuna Conoscenza
può contaminarla.”
“Ma il mio
compito è fermarlo.” insisteva il Guardiano
“Sono arrivato qui provvisto di
He-kau. – intonò Djoser - Ho indossato lino come Thot e lascio qui i miei
calzari…” e con queste parole il ragazzo si sfilò i calzari e si chinò a
deporli ai piedi del Guardiano che scrollò le spalle, facendo cigolare le
maglie del mantello di filamenti di metallo.
Quando Djoser si rialzò, la sua testa superava di poco la spalla del Demone
dal volto d’angelo, il quale tese un braccio, solido e come scolpito nel
granito, ed indicò il Pilone.
“Passa! Sei puro! - tuonò la voce del Pilone dalla
cima dello scoglio- Tu possiedi il Coraggio, la Generosità, la Pietà, la
Prudenza ed ora anche la Perseveranza, indispensabili per oltrepassare
questo Portale.”
Un fascio di luce abbagliante
fuoriuscì dalla larga fenditura; il ragazzo fece istintivamente un passo
indietro, ma Ta-hit lo invitò con un cenno della mano ad attraversare quella
luce. (continua)
brano tratto dal libro DJOSER e i Libri di Thot
reperibili presso Editrice MONTECOVELLO oppure in rete: su AMAZON
o direttamente presso l'AUTRICE, Maria PACE
mariapace2010@gmail.com - scontato ed autografato
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