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venerdì 1 febbraio 2013

SIKHTY - Il Bambino-Uccello


.....
L’aria che si respirava in quella Foresta era davvero tanto, tanto, ma tanto pesante. Così pesante da costringerlo a fermarsi per lunghi respiri. Quell’aria discendeva dentro di lui, ma poi faticava a risalire e gli opprimeva con forza il petto.
Fece un respiro profondo e stese un braccio; la mano fendette l’aria come fosse stata qualcosa di compatto. La vide fluttuare intorno a sè e udì i trilli e i frulli d’ali espandervisi come in un’eco profonda.
“Strani uccelli! - pensò sottovoce - Mai visti, rondini ed aironi simili a questi.”
Strani. Strani davvero, quegli uccelli. Niente affatto comuni. Uno si staccò dall’alto del fogliame di una quercia e scese a volteggiargli sul capo.
Era uno splendido falco. Un giovane falco dal corpo slanciato, dalle lunghe ali e dagli artigli rostrati.
Djoser abbassò istintivamente; il capo: pareva che quello stupendo esemplare di rapace stesse puntando proprio lui. Così era, poichè si fermò a svolazzargli sul capo sbattendo le ali. D’improvviso, l’udì emettere un suono acuto e stridulo. Non il normale verso di un uccello, nè un grido da predatore, ma un suono  prolungato, simile all’eco di uno squillo di tromba. Immediatamente dopo, però, seguì un canto dolcissimo, una vocina melodiosa.
       “Vivono di uccelli i falchi,
        di scorrerie vivono gli sciacalli...”
Djoser ne rimase sconvolto: l’ultima volta che aveva udito quel canto, molti anni prima, era stato sul ciglio di uno stagno e con lui c’era Sikty, il suo amichetto d’infanzia.
         Della palude vivono gli ippopotami,
         di pesci i coccodrilli.
         Di grano e di pesci del Nilo vivono gli uomini… “
Era proprio la voce   di Sikty e quello era il Ba del suo piccolo amico.

Il Ba, gli aveva spiegato suo padre, necessario alla sopravvivenza umana dopo la morte, era la parte più intima dell’anima. Al momento della morte lasciava il corpo uscendo dalle narici, poichè era attraverso le narici che Ptha-Atum aveva infuso l’alito vitale. La sua forma era di uccello con testa umana.
Il suo amico Sikty era morto. Era morto annegato un pomeriggio di  tanti anni addietro, mentre giocavano con i ranocchi dello stagno dietro casa.
Quale uccello, l’amico Sikty avrebbe potuto scegliere per il suo Ba se non un falco?
Da grande, diceva, avrebbe voluto avere un falco come compagno.
Che strana sensazione guardare il volto dell’amico su quel corpo di falco.

Anche Sikty guardava lui. Lo guardava fisso negli occhi poi piegò le ali e cercò con gli artigli un ramo su cui posarsi.
“Sei proprio Sikty?” domandò.
“Come tu sei il mio amico Djoser.”  
Non pareva per nulla stupito, il piccolo Sikty, di quell’incontro. Solo contento. Era ancora bambino e non conosceva lo stupore del miracolo. Djoser, invece, sì!
La gioventù è sensibile ai miracoli della vita.
“Ehi! - il falco-bambino lo svegliò dallo stupore - Non mi senti?”
“Oh!, sì... sei proprio il Ba del mio amico Sikty e...”
“Sono cosa?” lo interruppe la vocetta stridula del bimbo-uccello.
“Sei il Ba del mio amico Sikty.”
“Io sono Sikty!” insistette l’altro con caparbietà.
“Certo che sei Sikty, ma non sei più quello che viveva nel Mondo-di-Sopra. Adesso sei un Ba. Sei un’anima e...”
“Io sono S i k t y! - conguettò quello - Sono il figlio del fabbro Sekhem e di sua moglie Khara!”
“Va bene! Va bene! - conciliò Djoser; ricordava quanto permaloso e testardo fosse il suo amichetto anche da vivo - Sei Sikty! - sorrise poi proseguì - Non sei cambiato!... No! - si corresse subito - Sei cambiato. Ma la tua faccia non è cambiata. La tua faccia è sempre la stessa.”
“Tu invece sei cambiato. Sei tu, ma sei diverso. Sei così alto...”
“Eh! - fece Djoser - Sono scresciuto. Non ho più cinque anni. Cinque anni avevo quando...” Per la terza volta s’interruppe.
“Quando finii annegato nello stagno.” concluse per lui l’amichetto, con accento quasi divertito.
“Già!” assentì Djoser con aria mortificata.
“Da allora mi tengo lontano dal più piccolo specchio d’acqua. Ah.ah.…- cinguettò - Bevo solo rugiada dai tronchi degli alberi” Anche Djoser rise, mentre continuava a fissarlo negli occhi. Erano proprio gli occhietti di Sikty, scuri e furbetti.
“Da quel giorno mia madre mi ha sempre tenuto lontano da ogni pozzanghera d’acqua. - ancora una pausa, per raccogliere l’emozione sparsa dentro e fuori di lui da quell’incredibile incontro; Djoser tirò su col naso - Anche mia madre è qui. L’hai incontrata qualche volta? Hai incontrato i miei genitori?” chiese.
Sikty scosse il capino piumato di cui Djoser parve accorgersi solo in quel momento, di colore grigio- ardesia striato di bianco. La sua mano si tese per una carezza, che Sikty parve gradire..
“E i tuoi lunghi capelli?” lo udì domandare.

Uno stormo di gufi venne a frullare intorno al lungo ramo proteso su cui stava appollaiato Sikty, impedendogli di rispondere.
Sbattevano le ali rumorosamente e dai versacci che emettevano, parevano più gracchianti cornacchie che silenziosi rapaci. Djoser sollevò lo Scettro di Anubi e li mise in fuga.
Sua madre, ricordò, odiava gufi e civette. Diceva che  portavano disgrazie e che ne aveva visto uno appollaiato sul melo del loro giardino proprio il giorno della disgrazia del suo amichetto. Diceva che cacciavano di notte in silenzio e con il favore delle tenebre perchè di giorno erano impegnati a spargere disgrazie.
Suo padre, però, sorrideva dei suoi timori e gli diceva che ognuno di quegli odiati pennuti era utile per tenere lontano i topi che, quelli sì, erano dannosi.


Sikty sollevò un’ala per proteggersi il capo e si lasciò sfuggire un lamento; lo stormo di gufi era già lontano.
“Ehi, Sikty!... Ma tu sei ferito. La tua ala è spezzata. Che cosa ti è successo? Sono stati quei gufacci dispettosi?”
Il bambino-uccello scosse il capino.
“E’  stato il Macellatore-delle-Anime-Fuggenti. - piagnucolò - Mi ha inseguito con i suoi coltelli. Io sono riuscito a volare via, ma lui... Oih! Oih!... mi aveva già colpito... Oih! Oih!...”
“Non piangere, piccolino. Non piangere... C’è qui il tuo amico Djoser che ti aiuterà a rimettere a posto la tua aluccia.”
Djoser gli accarezzò il capino, poi il dorso. Quanta pena vederlo  così   piccolo ed indifeso. Era solo un bambino quando era morto e bambino   era ancora   adesso: uno stupendo bambino-uccello la cui vista procurava un dolore acerbo al suo spirito.
“Fammi vedere la tua ala.” disse; Sikty tese l’ala con un gemito.
“Se stai fermo e tranquillo, il tuo amico te la sistema in un battito di ciglia.” lo rincuorò, poi prese un ramoscello, lo accostò all’ala e l’avvolse con una pezzuola tratta fuori dalla sacca appesa al collo. Sikty lo lasciava fare in silenzio.
“Sai dirmi di questo Macellatore di Anime Fuggenti?” chiese. L’amichetto scosse il capino, ma la sua vocetta trillò:
“Però conosco un segreto.”
Djoser sollevò il capo; sorrise e si guardò intorno.
“Qui? Nella Terra-dei-Misteri?... Oh! Qui ogni cosa è un mistero. Compreso il mio piccolo amico Sikty”
“Quel giorno, nello stagno...”
“Non fu colpa mia, Sikty. – si agitò Djoser - Ho provato a tirarti
fuori dell’acqua, ma non ci sono riuscito. L’acqua mi spingeva lontano… lontano da te.”
“Non è stata l’acqua a spingerti fuori dello stagno, Djoser.”
“E’ stata l’acqua.”
“Non è stata l’acqua a spingerti fuori dello stagno.” insisteva il bambino-uccello.
“E’ stata l’acqua. - anche Djoser insisteva - L’acqua mi ha spinto lontano.. Lo ricordo bene. Ricordo come annaspavo...”
“No! Io annaspavo. Poi è arrivato Lui. Ha sospinto te fuori dello stagno ed ha condotto Sikty fino a qui.”
“Ma che cosa dici?”
“Che Lui mi ha condotto fino ai Sentieri-della-Terra-Nascosta.”
“Non capisco. Non ti capisco. Chi è Lui?”
“Lui! -   ripetè il piccolo - Con Lui sono venuto fino ai confini della Terra-Nascosta, ma Lui non c’era quando ho attraversato le Tenebre popolate dai Grandi Serpenti.”
“Vuoi dire il Labirinto?”
“... e non era col povero Sikty neppure nella Laguna-della-Doppia-Fiamma. - il piccolo fece una pausa, poi aggiunse, con voce carica di compiacimento - Ma Sikty è stato capace di spegnere le Fiamme.”
“Capisco! - proruppe Djoser - Adesso capisco. Hai attraversato il Labirinto e il Lago-di-Fuoco e sei arrivato fino alla Foresta-del-Tempo... Però, non mi hai ancora detto chi è Lui.”
“Oh! - sospirò il Ba dell’amichetto - Non sai che dietro ogni segreto ce n’è sempre un altro? Vivere tanto più a lungo di me, nel Mondo-di-Sopra non ha giovato alla tua vita. Pare a me.”
trillò ancora Sikty, felice della sua aluccia rattoppata.
“Io voglio soltanto sapere chi è Lui.”
“H-A-P-Y! - scandì con la sua vocetta acuta il bimbo-uccello - Come puoi non averlo capito! Era Hapy, il Signore del Nilo.”
“Hapy! Ma certo! E’ stato Hapy a tirarmi fuori. Se così non fosse stato, ci sarei anch’io qui con te. Oh, mi dispiace!”
Sikty scosse il capino e provò a sbattere le ali, anche se non riusciva ancora a stendere quella spezzata.
“Che cosa posso fare ancora per te? Fra poco la tua ala sarà guarita e non t’impedirà più di riprendere il volo.”
“E tu pensi – replicò polemico l’amichetto - che un’ala ferita possa fermare un viandante come me nell’attraversando la Terra-Nascosta?”
“Se non è la tua ala ferita, che cos’altro ti trattiene?”
“Sono Quelli-che-causano-la-distruzione-dei-colpevoli a braccare i pellegrini che attraversano la Duat.”

Il caratterino del suo amichetto non era davvero cambiato, pensò Djoser; nemmeno adesso che stava percorrendo la Terra Nascosta. Neppure lui, però, era cambiato ed, infatti, candidamente domandò:
“Chi sono costoro?”
“Gli Spiriti Protettori che lo Sciacallo Divino ha posto a guardia del corpo di Osiride.” spiegò l’altro.
“E Tu saresti uno di quei colpevoli?”
“Naturalmente no! Ma quelli non lo sanno.”
“Sono stati quelli a spezzarti l’ala?”
“… e una zampa. – precisò Sikty - L’ala e una zampa. Sono stati Colui-che-vive-nel-fuoco e Colui-che-ha-gli-Occhi-Rossi.”
Seguì una breve pausa per sbattere l’ala e controllare se andava meglio. Cosa che, sorprendentemente, stava avvenendo a vista d’occhio, poi giunse la sua esortazione:
“Attento a quelli e pronuncia bene i loro nomi.”
“Lo farò, ma dimmi, che cosa ci fai ancora qui? Io ti credevo a goderti le Beatitudini nei Sekhet-Jaru insieme agli altri Glorificati. Chi sono queste Anime-Ba che svolazzano d’albero in albero facendo tanto baccano?”
“Aspettano come sto aspettando io.”
“Aspettano che cosa?” 
(continua)

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