L'EGITTO dei FARAONI




DJOSER e Lo Scettro si Anubi

DJOSER e I LIbri di Thot

DJOSER e I Giardini di Osiride

DJOSER e il ritorno di Hapy

ANTICO EGITTO - Faraoni e Regine

ANTICO EGITTO - Credenze Religiose

ANTICO EGITTO - La Scrittura... La magia dei Geroglifici

mercoledì 23 luglio 2014

NEL CANTIERE della PIRAMIDE di KHAFRA (Kefren)






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La stagione Akhet era giunta da più di due mesi, ma lo straripamento delle acque non accennava a diminuire e il Paese era diventato una sola grande valle allagata. Le campagne avevano spopolato e le masse di contadini avevano passato il Nilo per lavorare alla costruzione del complesso funerario del Faraone.
Coordinare l'impiego di tanta gente non era facile, pensava Djoser, osservando da lontano le attività del  cantiere. Per i funzionari governativi doveva essere faticoso e difficile quanto il lavoro stesso.
Le cose che bisognava fare affinché il lavoro procedesse spedito erano tante: evitare lunghe  interruzioni, procurare l'arrivo dei blocchi al momento giusto, rinnovare in tempo utile gli arnesi rotti, predisporre il ricambio delle squadre di operai. In realtà, nella costruzione di quei giganteschi edifici, solo una piccola  parte  di  operai   specializzati veniva occupata a tempo pieno. La massa di contadini e soldati, una moltitudine di persone orgogliose  di contribuire   con il proprio lavoro all’Immortalità del Faraone, era impiegata solo durante la piena.
Djoser attraversò il campo. Brulicava di gente operosa e divisa in squadre. C'era la "Squadra Valente", che misurava blocchi e  smussava angoli. C'era quella del “Fiume Sacro”, che accatastava legna e fabbricava utensili e c'era la squadra del "Toro Vincitore", che martellava e tagliava, adoprando larghe seghe di pietra e rame. Altre squadre trasportavano cibo, acqua, argilla; altre ancora spostavano blocchi o li trasportavano su rampe. C'erano quelle che fissavano corde o numeravano massi e c’erano molte altre ancora.
Djoser aveva tanti amici fra quella gente; gente in gamba, capace e fidata: architetti, riproduttori d’immagini, tagliatori di pietre, creatori di gioielli. Insieme, costituivano una piccola comunità in seno alla società. Persone reciprocamente legate da principi di solidarietà e appartenenza; persone pronte ad aiutarsi, a sostenersi ed a sostenere gli speciali privilegi che il vivere all’ombra delle Piramidi concedeva loro. Djoser li conosceva quasi tutti. Conosceva i loro nomi, le famiglie, le vicende ed era diventato uno di loro.

"Djoser, sei tornato?"
Qualcuno lo chiamò dall'alto di una delle rampe, agitando le braccia per attirare la sua attenzione; Djoser si girò in quella direzione.
Le rampe, che dall’angolo inferiore salivano verso l’alto, avvolgevano a serpentina la Piramide in costruzione.
Il ragazzo sollevò il capo; era già così alta da oscurare il sole.
"Sono tornato." rispose; l'altro si affacciò dalla piattaforma della rampa. Dietro di lui un gruppo di uomini spingeva un pesante masso. Larga quasi trenta cubiti, per permettere alle slitte che procedevano nei due sensi di non ostacolarsi, era una vera e propria strada. La pendenza, piuttosto dolce e controllata, di poco superiore ai quattro gradi, consentiva alle slitte di non scivolare indietro ed evitava un lavoro eccessivamente gravoso agli uomini addetti al traino. Sul lato esterno un muro di pietrisco e mattoni crudi faceva da parapetto.
Il   ragazzo   attraversò di corsa     il primo tratto, il più affollato,
ingombro di uomini, utensili e blocchi di pietra numerati. Ognuno di quei lastroni recava scritte per facilitarne la collocazione.
"Sei stato via più di sessanta giorni. Ero in pensiero. – riprese l’uomo, continuando ad agitare le braccia – Temevo ti fosse successo qualcosa. Dove sei stato? - sui quaranta anni, alto, il fisico asciutto e il fare autoritario, era certamente un caposquadra - Qui tutti chiedono di te. Dov’é Djoser? Quando torna Djoser? Perché non torna Djoser… Dove sei stato in tutto questo tempo?"
"Non  lontano da qui." rispose   evasivo il ragazzo percorrendo la seconda rampa. Man mano che saliva e che la costruzione svettava verso l’alto, diminuiva lo spazio e il numero degli uomini.
Djoser raggiunse la terza rampa e il caposquadra.
Visto da quell’altezza il cantiere sembrava un termitaio allo scoperto, vivace e movimentato. Da lassù si vedeva bene ogni cosa: il tempio a Valle quasi ultimato, le ultime assise di pietre della Strada Sacra, la Sfinge. Si vedeva bene anche l’intricato dedalo di viuzze che correvano serpeggiando intorno ai magazzini reali, ad occidente del canale. Più lontano, il Nilo si snodava sinuoso ed impetuoso a causa della Piena che non accennava a calare.
"Salute a te, Siptha, che rivedo volentieri." volse le spalle al fiume e salutò con le braccia all'altezza delle spalle.
"Ti rivedo con piacere anch’io, mio giovane amico. Ma non hai risposto alla mia domanda. Dove sei stato? Qui sentono tutti la tua mancanza. Alcune cose non vanno bene, quaggiù!"
"Ci sono cambiamenti qui, vedo."  Djoser si guardò intorno.
"Il funzionario Hatmut mi ha mandato questa squadra, ma è piuttosto fiacca - si lamentò - e il lavoro procede a rilento.”
"Vedo   laggiù Amosis.  - replicò il ragazzo - Lui è un lavoratore instancabile e molto capace, ma non vedo suo fratello Thotmosis."
"Thotmosis oggi non c'è. - spiegò il caposquadra - Il suo asino è malato e lui ha preso due giorni di permesso per curarlo.”
“La sua mancanza si fa sentire!” osservò il ragazzo.
“Già! Nessuno è capace di poggiare un blocco accanto all'altro con la stessa precisione, in modo da non permettere ad una sola pagliuzza di starci fra le fessure."
Anche Djoser conosceva ed apprezzava, come tutti, la competenza di Thotmosis, il quale non avrebbe certo approvato il lavoro degli operai della nuova squadra.
"Guarda qui, Djoser. Guarda in che modo maldestro sono state posate queste pietre.”
“Già! Non ce n’è una sola che combaci con l’altra." assentì il ragazzo, con accento di disapprovazione.

(continua)

brano tratto da DJOSER e lo Scettro di Anubi"  di Maria PACE
editrice MONTECOVELLO

si può richiedere il libro all'Editrice - in libreria oppure
AUTOGRAFATO presso l'Autrice

mariapace2010@gmail.com



brano tratto da DJOSER e lo Scettro di Anubi"  di Maria PACE
editrice MONTECOVELLO

si può richiedere il libro all'Editrice - in libreria oppure
AUTOGRAFATO presso l'Autrice
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IL REN... il nome segreto




Antico Egitto e… il nome
Il mio nome è MARIA PACE. Il ren, ossia il nome, dicevano gli Antichi Egizi, é lo strumento che conferma l’esistenza di una persona, uomo o donna. Senza il proprio nome, dicevano, la persona non esiste.
Questo, d’altronde, vale anche ai giorni nostri: basta guardare gli imbarazzanti atteggiamenti dei concorrenti dei vari reality che imperversano in TV.
Ai tempi degli antichi Egizi, il nome era una cosa seria. Ne volete una prova?
ISIDE, la più potente fra le Divinità femminili del Pantheon egizio, narra una leggenda, decise un giorno di concentrare in sé tutta la potenza divina, detenuta dal vecchio e bavoso Ra, Padre degli Dei.
Con la complicità di TIAMAT, Dea-serpente, iniettò del veleno nel corpo di RA e lo ricatto:
“Rivelami il tuo ren, il Tuo nome segreto, ed io ti libererò di questa sofferenza.”
Il Padre degli Dei temporeggiò e provò ad ingannarla:
“Io sono Khepry che sorge al mattino – disse – Ra che arde a mezzogiorno e Ammon che tramonta a sera.”
“Questo non è il tuo ren.” insistette la Dea.
Quando RA capì che ISIDE non avrebbe ceduto, fu lui a capitolare:
“Figlia ingrata!” proruppe e la pregò di accostare l’orecchio alle sue labbra affinché altri non udissero il suo divino-ren.
Se tutto ciò non vi pare ancora sufficiente a comprendere l’importanza del “nome” per gli antichi Egizi, sentite questa, allora!
Sapete quel che il faraone Thutmosis III fece a sua zia, la famosa Regina-Faraone Huthsepsut, Grande Consorte Reale di Thutmosis II?
La Regina si fece sedurre dal potere e, di fatto, regnò per diciassette anni circa sul Paese. E non come Reggente, (Thut III era ancora ragazzo) ma come una vera Sovrana.
Quando il nipote-figliastro riuscì ad agguantare il potere, fece scomparire il nome, si dice, da tutti i suoi monumenti. Cancellandone il nome, il Faraone volle cancellarne il ricordo, la memoria e l’esistenza stessa.
Davvero straordinari, questi Antichi Egizi, eh!!

VITA da FARAONE

Vita da Faraone
VITA  DA  FARAONE

Il Faraone era un Sovrano diverso da tutti gli altri e diversa era anche la sua vita.
A differenza delle altre civiltà dell'età del bronzo le quali si  svilupparono in una serie di città-stato rivali tra loro, l'Egitto manifestò subito una tendenza verso una unità nazionale personificata nella figura del suo Dio-Re al cui modello umano finirono per uniformarsi, gradatamente, tutte le altre Divinità.  La figura del Dio-Re, concreta e tangibile, riusciva a soddisfare le esigenze di un popolo che possedeva di Dio un'immagine reale.
L'intero Paese prendeva parte alla "creazione" de suo Re-Dio fin dalla sua Incoronazione, una Cerimonia a cui partecipavano tutti gli Dei ed in cui  egli riceveva le varie Corone: la Corona Rossa del Basso Egitto, la Corona Bianca dell'Alto Egitto, ma anche  il Casco Blu da combattimento o la Coroma  Atef, ecc...  tutte oggetto di culto.

La concezione di Sovrano quale Dio-Incarnato faceva di lui la personificazione della Ma'at, vocabolo che tradotto vuol dire "Rettitudine" "Giustizia" "Verità", cosicché, con la sua Incarnazione, il Sovrano diventava il garante della Giustizia e  dell'Ordine Precostituito delle cose.
Con lui si apriva una nuova era. Ad ogni cambiamento di Re,  l'intero universo veniva ricreato secondo lo schema originario: la Ma'at, infatti, poggiava sulla tradizione degli eventi avvenuti in passato ed ai quali, nelle sue azioni, il Re doveva uniformarsi. La  Regalità,  infatti, era immortale e non riferita alla persona fisica, bensì al concetto che rappresentava.
Il Faraone che appariva per la prima volta al suo popolo era paragonato al Sole, ma  ciò che si celebrava attraverso la Cerimonia di Incoronazione non era la persona, non era l'uomo, ma l'istituzione e il principio che incarnava e cioé la Regalità-Divina.
Al suo copetto, così come al cospetto di ogni altra Divinità, ci si presentava con le dovute precauzioni perché l'inflenza e l'influsso che emanavano dalla sua persona erano quelle di un Dio, capaci di folgorare e incenerire.

Per questo il Faraone era diverso da ogni altro Sovrano; egli  non poteva comportarsi secondo la propria volontà, ma doveva render conto al suo popolo ed agli Dei di cui era l' Incanazione ed all'universo di cui era il garante.
La regolamentazione delle sue attività e della sua condotta erano assai rigide e come disse Diodoro:
"... egli aveva un tempo fissato non solo per quando doveva tenere udienze. rendere giustizia, ma anche per quando doveva passeggiare, fare il bagno o dormire con la consorte. In una parola, per ogni attività."
Ogni suo atto, pubblico o privato, era determinato da Leggi prescritte e non da volontà propria. A servirlo, inoltre, non erano servi o schiavi comuni, ma personale giovane e qualificato appartenente alle più nobili famiglie.
La vita di un Faraone, pertanto,  non era  semplice e non sempre piacevole, come per certi sovrani di altre epoche o Paesi, ma piuttosto gravosa e pesante. Cominciava fin dal mattino un complicato rituale che andava dal risveglio alla cura della persona e alla scelta dell'abbigliamento: dalla parrucca ai sandali.
Uno dei titoli più ambiti era quello di "Portatore dei Sandali del Re".
Gli impegni quotidiani erano molteplici: doveva concedere udienze, praticare il culto, esercitare la giustizia... il sacro e il quatidiano, dunque, erano  legati indissolubilmente  nella sua persona di Uomo-Dio.

I MATRIMONI INCESTUOSI dei FARAONI

I  matrimoni incestuosi dei Faraoni
Perché i Faraoni sposavano figlie e sorelle, praticando, così, l’incesto?
La domanda è legittima e la risposta pare scontata:
“Per preservare la purezza del sangue.”
Un fondo di verità c’è, in questo, ma ci sono anche altre cause: tradizione, politica, religione…
Sappiamo che l’Egitto non era il solo Paese a seguire tale consuetudine: il babilonese Abramo aveva per Sposa Primaria la sorella Sarai e l’ittita Suppilulumia, di sorelle ne aveva sposate addirittura due.
In realtà, in Egitto l’incesto era considerato un reato e come tale punito, ma solo per la gente comune.
Perché, dunque, quella pratica contro natura nelle Famiglie Reali?
In Egitto ( e non solo in Egitto) il trono si ereditava per via femminile: durante il matriarcato prima e in retaggio di tale sistema, dopo.
Era nelle vene della Grande Consorte Reale che scorreva il “sangue divino” ed era lei ad essere, da sempre, considerata “Figlia di Dio”. (basta dare uno sguardo alle iscrizioni del Tempio di Deir El Bahary, il Complesso Funerario di Huthsepsut, la Regina-Faraone)
La Grande Consorte Reale trasmetteva alla principessa ereditaria il suo sangue divino assieme al diritto al trono:  questo, dunque, era “proprietà” della Grande Regina e passava in eredità alla figlia femmina e non al figlio maschio.
Il principe ereditario, designato dal Faraone in carica, lo riceveva dopo un complesso cerimoniale che possiamo riassumere in tre momenti:
- Le Nozze Divine:  tra la principessa ereditaria e il Dio Dinastico (Ammon, nel Nuovo Regno - Ra o Ptha nell'Antico Regno), celebrate nel Tempio Dinastico di Karnak, a Tebe: uno dei misteri più impenetrabili dell’Antico Egitto. (siamo ancora nel Nuovo Regno)
- Le Nozze regali:  della principessa e futura Regina con il principe ereditario
- L’atto sessuale: e il conseguente mescolamento di sangue.
Attraverso tale cerimoniale lo spirito del Dio-Dinastico passava dal corpo della principessa in quello del principe: il futuro Faraone. (Per-oa, ossia Palazzo Divino:  il luogo in cui si incarnava la Divinità. Faraone, che vuol dire Incarnazione di Dio )
In teoria,  ogni uomo poteva, sposando la principessa ereditaria, diventare Faraone.
Il pericolo di guerre dinastiche tra principi era reale ed elevato; non esisteva diritto di primogenitura, ma solo quello di designazione da parte del Faraone, anche se di norma ad essere designato era, ma non sempre, il primogenito. (Ramseth II, ad es. era il quarto figlio di Sety e il fratello primogenito gli mosse guerra; Keope, al contrario,  era il quinto figlio di Snefru e suo fratello primogenito fu tra i progettisti della Grande Piramide)
Reale ed elevato era anche quello costituito da guerre di conquista da parte di stranieri.
Il Faraone in carica, dunque, alla nascita della principessa ereditaria le assegnava un marito: uno dei principi ereditari. Accadeva, però, anche che la prendesse in sposa egli stesso, in assenza di fratelli.
Così fece il faraone Amenopeth IV (conosciuto anche come Akhenaton), che sposò tutte e sei le figlie; Sua Maestà Sety I, invece, fece sposare due sorelle al suo successore designato: Ramesse II (che pure era già sposato con la bellissima ma molto borghese Nefertari)
Lo stesso fece il faraone Thutmosis I con il figlio Thutmosis II, che diede come marito alla celeberrima Huthsepsut, Regina-Faraone.
nota: si suppone che sia stato per impedire una guerra dinastica che la principessa Maritammon, figlia di Akhenaton, e sorella di Anksenammon, moglie del celeberrimo Thut-ank-Ammon abbia finito per sposare il generale Haremhab diventato, in seguito a ciò, Faraone:  un Faraone usurpatore e anello di congiunzione con la XIX Dinastia  dei Ramessidi... usurpatori anch'essi..

martedì 22 luglio 2014

ISTITUZIONE FARAONICA

ISTITUZIONE  FARAONICA
ISTITUZIONE  FARAONICA

Se, come disse Ecateo di Mileto, l'Egitto era un dono del Nilo, a sostenere la società era l'istituzione faraonica. Essa era la mente, l'anima, il cuore e la guida della società e qualsiasi paragone con qualunque altro tipo di società  non é neppure ipotizzabile.
Il Sovrano era al centro della storia e degli eventi di una società che non era guidata da precetti prescritti da Libri Sacri come Bibbia, Corano, ecc..  L'Egitto non ha mai avuto un Libro Sacro, né Rivelazioni o Apparizioni Divine che dettassero vincoli e comportamenti da seguire.
Il Faraone non aveva bisogno di "incontrare" Dio poiché egli stesso era Dio o Figlio di Dio, discendente di quegli Dei che regnarono sulla terra prima di lui.
Le Liste dei Faraoni, infatti, cominciano sempre da Regni  Divini:
- Regno degli Dei
- Regno dei Semidei o Esseri di Luce, figli di un Dio e di una donna mortale, ultimo dei quali fu il    Re-Scorpione, della Dinastia "O"
- Regno degli Uomini, primo dei quali fu Narmer

Le  origini della Regalità Divina risalgono ad epoca preistorica ed alla figura della stregone che nella società tribale era strettamente legata ai fenomeni della natura, la pioggia, soprattutto, da cui dipendevano pascoli, raccolto e bestiame. I primi sovrani conservarono gli attributi di questi capi stregoni:  bastone del comando, coda di leone,  barba posticcia, abito cermoniale, ecc.  Regalità  e Natura-Cosmo erano, dunque, strettamente connessi:  lo stregone d'epoca preistorica, capace di di controllare magicamente fenomeni atmosferici, si traforma nel Re  capace di esercitare il potere sulle Acque regolandone le piene, richiamare le piogge, allontanare la siccità, scacciare le tenebre, ecc...
Un legame con Cosmo e Natura davvero unico e particolare.
Ma  il potere del Re é legato anche alla sua forma fisica; quando questa comincia a decadere egli viene ucciso e le ceneri disperse per rendere fertile la terra.
Questo in età preistorica (vi sono cenni nei Testi delle Piramidi).
In età storica l'uccisione del Sovrano è solo simbolica e comprende un complesso  cerimoniale,  la "Festa Zed" o Giubileo, attraverso cui  egli riacquista forza e vigore per  tornare ad esercitare  il  "potere" sugli elementi della Natura.
Non si tratta, in verità,  di un potere dispotico e tirannico, come spesso si equivoca (cinema e letteratura) e si é equivocato in passato (storici come Erodoto o passi bibloci ), bensì di un comportamento di responsabilità ed equilibrio volto al raggiungimento del benessere del popolo.
Egli perciò é un sapiente, un dotto, un saggio. Studia gli Astri, le Acque, la Natura e frequenta Templi  e e Scuole alla ricerca di quegli Insegnamenti degli Antenati sui cui principi di saggezza poter  guidare la propria condotta,  che deve essere perfetta ed ineccepibile.
Egli é la personificazione della Ma'at, ossia la Verità, la Giustizia, la Rettitudine,  l'Ordine Cosmico Naturale e possiede anche i mezzi per provvedere ad istituire oppure restaurare la Ma'at che  sono la "Conoscenza delle Cose"e il "Verbo Creatore" o "Parola Magica", le He-Kau: con la seconda mette in atto la prima.

Ne consegue che, qualunque fosse il carattere meramente personale e umano di quegli uomini, la loro funzione e caratteristica regale-divina ne era nettamente scissa.
La morte di un Faraone, come tale e non come uomo, era un evento tragico e drammatico  per il Paese il quale lo viveva con angoscia e paura e nella trepida attesa del successore.
Sempre più spesso, però, questo successore era già presente,  Correggente del Faraone in carica e ciò per evitare tensioni e guerre dinastiche.
Quanto al Sovrano, la sua morte non era un evento conclusivo, ma solo un momento di transizione per salire in cielo e unirsi al suo  Creatore, abbandonando definitivamente la terra dove era vissuto quale "Horo incarnato".
Questa, dunque, la concezione di Sovrano durante l'Antico Regno, concretizzata e condotta all'apice attraverso la costruzione della "Mer", la Piramide, in cui viene coinvolto l'intero Paese.
Ma é proprio in quest'apice che inizia un sottile cambiamento nel concetto di una così  particolare istituzione:  il Re cessa di essere Dio e diventa Figlio-di-Dio , discendente  del  Dio che ha governato l'Egitto fin dall'origine del mondo. E ancora più tardi diventerà Per-Oa, Faraone, ossia Palazzo-Divino, ossia Incarnazione di Dio. E quel Dio sarà Horo e alla sua morte,  il Sovrano si identificherà con Osiride,  padre di Horo.

Il Faraone, dunque, é anche un uomo. Può accadere che la sua "divina influenza" si attenui, che gli Dei di cui é tramite si allontanino; la conseguenza (guerre, carestia, siccità)    ricade su  tutto il Paese.  Per questo occorre disporre non solo di "energie divine e soprannaturali", ma anche  di forze naturali e materiali e il Faraone dispone di entrambe: Magia e Soccorso-Divino, ma anche esercito e organizzazione amministrativa.
Nel Nuovo Regno i Sovrani dovettero  combattere per ottenere e conservare  il potere; i Sovrani-Guerrieri più famosi sono proprio quelli appartenenti a queste Dinastie.
Lo stesso Faraone ( il termine si fa risalire proprio a tale epoca, attribuendolo a Thutmosis III)
 scendeva in campo, quale incarnazione di Montu, Dio della Guerra, per  sbaragliare nemici ed assoggettare popolazioni, na anche per affermare il proprio prestigio  e la propria Regalità-Divina. E con Amenopeth III°  il concetto di regalità-divina raggiunse davvero l'apice,  con l'erezione di colossali statue del Faraone e di  Templi grandiosi, così da spingere il Sovrano a venerare se stesso fra gli Dei.
Lo farà anche Ramseth II, quando si farà raffigurare nella Triade di Tebe quale Figlio di Mut ed Ammon, al posto di Konsu.  (foto)

FARAONE... da dove arriva questo temine?

FARAONE: da dove arriva questo termine?
Il termine Faraone è la traduzione del greco PHAR-ON; traduzione, a sua volta,  dell’antico termine egizio: PER-Aa, ossia, PALAZZO-DIVINO o CASA-DIVINA.
Il FARAONE, dunque, non era considerato DIO oppure Figlio di DIO (come nelle prime Dinastie), bensì: Incarnazione di DIO.
Il corpo del Faraone era, cioè, il “Palazzo” in cui viveva lo Spirito del Dio: il dio Horo, per la precisione, figlio di Iside ed Osiride, i quali, tutti e tre insieme, formavano la TRIADE o Sacra Famiglia… niente di nuovo sotto questo Cielo!

EGITTO... da dove arriva questo termine?

EGITTO... da dove arriva questo termine?

E’ la traduzione italiana del greco Ae-gi-Pthos, che a sua volta traduce l’antico termine egizio: Hut-Ka-Ptha.
Il significato letterale è:
DIMORA (Hut) dello SPIRITO (Ka) di PTHA.
E’ la III Dinastia e PTHA è IL Dio Dinastico di MEMFI.
In precedenza il territorio era indicato con altro nome: “Il Paese delle Due Terre”.
Le Due Terre erano: - KEM  o  “Terra Nera”  e
- DESHRET  o “Terra Rossa”.

L’unificazione delle Due Terre avvenne dopo varie ed alterne vicende, militari e diplomatiche, e un “Concilio”, in cui si decise di dare quel nome a tutto il territorio, in onore di PTHA, IL DIO CREATORE.
Curiosità: la parola ALCHIMIA deriva proprio da KEM (terra nera), che i tanti sognatori cercavano di manipolare chimicamente per trasformare in oro il materiale vile.


KA-F-RA o KEFREN


KEFREN... e la Sfinge




Il nome di questo gigante della IV Dinastia dei Sovrani d'Egitto é legato soprattutto alla costruzione della Piramide e della Sfinge, una delle tante raffigurazioni del Sovrano.
Figlio di Keope, egli succedette al padre dopo il breve regno di un altro fratello, Djedefra,  e come questi, anch'egli inserì nella lista dei titpoli quello di "Figlio di Ra", a  dimostrazione dell'affermazione del culto solare nel  Paese.

Kafra, il nome egizio, significherebbe: Ra quando sorge.
 Sotto il regno di questo Sovrano non pare vi siano  stati eventi storici di rilievo. In realtà, il Paese attraversò un periodo di pace e prosperità e lo dimostrano  proprio la Piramide e la Sfinge fatte da lui costruire.
Tendenziose e falso, dunque, il giudizio dello storico greco Erodoto il quale già s'era espresso assai durmente nei confronti di Keope. Secondo Erodoto, infatti, egli sarebbe stato un tiranno proprio come suo padre ed ecco in che termini si esprime:
"... gli egiziani, per odio, questi Re non vogliono neppure nominarli."
E aggiunge, tralasciando il particolare non trascurabile che si sta esprimendo su fatti risalenti e tremila anni prima:
"Le Piramidi erano attribuite al pastore Filitis che in quel periodo pascolava in quei luoghi."
Oggi lasciamo che queste affermazioni si commentino da sole.

Chi era questo Filitis?
In realtà, chi sia questo Filitis nessuno lo sa (sicuramente non lo sapeva Erodoto), ma si tende a collocarlo nell'epoca delle invasioni di popolazioni settentrionali  provenienti  dal Medio Oriente. Così facendo, però, si fa un salto  cronologico di almeno mezzo millennio.
Oggi nessuno fra gli studiosi e storici seri e preparati crede più alle calunniose favole raccontate per secoli
KEFREN... e la Sfinge
La Sfinge, questo straordinario monumento è assurto a simbolo dei misteri che ancor oggi circondano la civiltà egizia, porta il volto di questo Faraone e risale al 2570 a. C.
Corpo leonino e testa umana, sulla fronte  l’urex, il cobra reale, la Sfinge simboleggia la natura divina del Faraone e nella storia dell'arte dell'uomo non c'è nulla che soprende quanto questo volto, simbolo del più profondo mistero.
Durante lo scorrere di tutti questi secoli, non c’è stata generazione capace di sottrarsi al suo fascino enigmatico.
Per gli Arabi era Abu-el-hol, ossia, “Padre della paura”, a testimonianza dei sentimenti di timore che l’immenso colosso di pietra era capace di suscitare in gente superstiziosa che la credeva una raffigurazione del male; per gli Antichi Egizi, però, era la Shepes-ank, “L’Immagine Vivente”, provvista di Ka e Ren = Spirito e Nome.
Imponente ed enigmatico, fin dall’antichità, questo colossale felino di pietra ha alimentato leggende ed aneddoti. (talvolta anche riprovevoli)
Ricordiamo il faraone Thutmosis IV che, ancora ragazzo, a seguito di un sogno in cui la Sfinge gli prometteva il trono se l’avesse liberata della sabbia che minacciava di seppellirla, le dedicò una stele. I Mamelucchi, qualche millennio dopo, l’aggredirono a cannonate, portandole via il naso e, più recentemente, avventurieri senza scrupoli usarono la dinamite per penetrare al suo interno nella speranza di trovarvi tesori.

RE SCORPIONE


RE SCORPIONE e la Dinastia "O"

RE  SCORPIONE e la Dinastia "O"
Studiosi ed egittologi hanno diviso (per comodità) la Storia egizia in lunghi periodi: Antico, Medio e Nuovo Impero, interrotti da  un  Primo e Secondo periodo Intermedio in cui si susseguirono 30 Dinastie.
Sulle prime Dinastie, però, ancor oggi vi sono dubbi ed incertezze circa la datazione e gli stessi Sovrani. Cosicché, si è circoscritto un periodo (e le sue vicende) racchiudendolo in una “DINASTIA O”  antecedente al 3.200 a.C.
Nella presentazione di alcuni Faraoni noti e meno noti, partiremo proprio da uno di questi Sovrani appartenuto alla Dinastia O e conosciuto con il nome di:
RE SCORPIONE

Fu l’ultimo Sovrano della Dinastia 0.
Va precisato che non si trattava di veri e propri sovrani, ma di capi e principi locali.
Secondo le antiche credenze religiose e storiche, in Egitto in origine regnavano gli Dei, cui succedettero i Semi-Dei, i quali prepararono l’avvento al trono agli uomini.  Re Scorpione, secondo la tradizione, fu l’ultimo dei Re Semi-Dei.
Comparve sulla scena nell’Alto Egitto quasi all’improvviso ma, in realtà, la sua presa di potere fu frutto di strategia militare, diplomazia e conoscenza scientifica in relazione soprattutto alla metallurgia dell’epoca del bronzo, alla distribuzione delle acque mediante la canalizzazione ed alla creazione di "chiuse" ed allo sviluppo dell’agricoltura.
Scorpione fu anche un Re-Guerriero e lo testimonia la straordinaria “Mazza da guerra” in calcare, proveniente dal sito di Jerancopoli, l’allora capitale del territorio e conservata al Museo di Oxford. Vi é anche raffigurato, però, il Sovrano nell'atto di compiere una Cerimonia Solenne durante la ripolitura di canali di irrigazione, dopo il ritiro delle acque che vi avevano  deposto il fertile limo.
Questo reperto costituisce, in sostanza, l’affermazione di Sovranità  da parte di Re Scorpione (questo nome gli è stato attribuito dagli storici a causa del geroglifico di scorpione inciso sulla mazza)  su tutto il territorio dell’Alto Egitto ( il Sud del Paese) e sulle popolazioni, compresi i nomadi che si spostavano di oasi in oasi.
Sara con lui che si comincerà  a delineare l'Egitto Faraonico.


Lo Scorpione non è certo il personaggio presentato nell’ultimo film, (dagli effetti speciali e dalle tante inesattezze storiche) ma è certamente una figura straordinaria.  Non si presenta come un principe o capo-clan, (numerosi, all’epoca), ma come un vero Monarca incoronato.
Non si limita a guerreggiare e conquistare popoli e territori, ma trasforma paludi e terre aride in terre coltivabili.  Controlla le piene del fiume, costruisce dighe, chiuse e canali,  favorisce lo sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia, quello della lavorazione del legno e del metallo, della tessitura e della ceramica. Soprattutto del metallo: estrazione, lavorazione e trasformazione.
Lo Scorpione è, in verità, il primo grande Sovrano di un Egitto non ancora unificato.
Su di lui fioriscono molte leggende, leggende, che affondano le proprie radici in miti assai lontani, risalenti alla lotta fra i Seguaci di Horo e i Seguaci di Seth.   Si tratta di un mito (quello della lotta fra Horo e Seth) che trova riscontri nelle vicende storiche e cioè, nelle lotte con alterne vicende fra popolazioni dell’Alto e del Basso Egitto prima dell’unificazione dell’intero territorio.
Il mito.
Scorpione, il cui nome dovrebbe essere Selk-Hor (Selk, come Scorpione e Hor, come seguace di Horo), secondo la leggenda era figlio di un principe locale seguace di Horo e della dea Scorpione. Sterminata la famiglia a seguito di un’ennesimo scontro (o congiura) e scampato all’eccidio, il ragazzo venne allevato da un fedele servitore.
Valente guerriero e gran conoscitore della metallurgia, costui lo rese edotto dei “segreti della natura” e lo avviò alle armi, fino al momento della riscossa che lo renderà il protagonista dellinizio di una delle più straordinarie avventure dell'uomo... il resto è quel poco che si può dedurre dalle scoperte archeologiche.

nota:  chi volesse approfondire la storia di questo straordinario personaggio é rimandato alla lettura di:
"DJOSER e i Libri di Thot"  di Maria Pace
da richiedere in ogni libreria o reperibile su
ibs.it   -  amazon.it  -  libreriauniversitaria.it -  webster.it  - goodbook.it  -  la feltrinelli.it -  ecc. o direttamente a:
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lunedì 21 luglio 2014

AA-HIT Signora-de-Terrore - Dama del Primo Pilone di Osiride





Djoser cominciò a contare i gradini; ua, senu, khenet, fedu…(uno, due, tre, quattro)… medyu (dieci)… dyebati (venti) smise di contare e quand’ebbe raggiunto le Torri e la Muraglia, salutò:
    Omaggio a Te, Primo Pilastro di Usir-dal-cuore-immobile.
     Io sto compiendo la mia strada. Io  Ti conosco 
Le parole rotolarono nel silenzio, fragorose come ciottoli spinti dal vento impetuoso del deserto; l’eco che si trascinavano dietro era secca ed ossessiva.
Un silenzio agghiacciante, però, inghiottì improvvisamente ogni cosa, compreso il ghigno dei due demoni, i quali lo avevano seguito, ma che abbassarono la testa e ritirarono il velenoso pungiglione.  
    “O Signore dell’Amenti, Re dell’eternità…” s’interruppe e un forte sbavo di paura gli percorse l’inguine e il ventre, salì attraverso lo stomaco e raggiunse il cuore: stagliata contro la Muraglia c’era un’inquietante figura di di donna che il ragazzo riconobbe subito e salutò con voce malferma:
“Io conosco il nome de…della Dama di questo Pilone. Signora-della-Torre è il suo nome. Padrona-delle-Tenebra. Dama che respinge il violento… Aa-hit, è il tuo nome, Madre di Aha-il-Combattente.”
La bocca sdegnosamente arcuata e minacciosamente socchiusa in un sorriso, tale da far rabbrividire la stessa Bestia-Ammit,  Aa-hit lo guardò come si guarda un insetto.

Era la Signora del Primo Pilone dei Giardini di Osiride.
Chimera dalle ali inquiete, Sfinge dallo sguardo enigmatico, Aa-hit lo fronteggiò in tutta la sua divina bellezza: irresistibile, pericolosa e potente come il cobra eretto sulla fronte di un Faraone.
Djoser provò a distogliere lo sguardo, ma non ne fu capace: una forza superiore l’attirava verso di Lei.
Occhi verdi di brace, labbra rosse e carnose, Aa-hit lo fissava scuotendo i lunghissimi, cespugliosi capelli legati sulla nuca e trattenuti da due ali dorate di avvoltoio: l’acconciatura delle Regine. Al contrario di quelle, però, in purissimo oro proveniente dalle cave del Sinai, le ali che ornavano la Dama di quel Pilone erano vibranti e palpitanti di vita e scuotevano l’aria, andando a congiungersi al centro della fronte, dove era incisa la figura di un piccolo scorpione.  Non si capiva se anche quello fosse vero o finto, ma, ogni qual volta la  Dama corrugava la fronte,  pareva agitarsi.
Aa-hit indossava una veste di pelle scura e aderente, una seconda pelle che faceva risaltare ogni angolazione, ogni curva, ogni sinuosità del suo corpo.
Djoser la fissò terrorizzato e affascinato, accecato dal bagliore del pettorale d’argento con le insegne da Combattente, mazza e pugnale, che assecondava la linea prorompente del seno. Vi  era incisa anche la figura di uno scorpione circondato di fiamme; stessa incisione sulla larga cintura che le stringeva la vita ed a cui erano appesi catene e flagelli.
Djoser frugò febbrilmente, ma inutilmente, dentro la mente alla ricerca di formule sacre con cui placarne l’ira sdegnosa: la paura gli impediva di pensare e gli occhi seguivano atterriti il lento movimento del suo braccio destro armato di un pugnale dalla lama insanguinata.
Immobile, attese che la punta a testa di scorpione della lunga canna, che la Signora-del-Terrore gli puntava contro, gli penetrasse nel petto; alle sue spalle, le sagome prostrate al suolo dei due demoni, sembravano macchie scure spalmate sul pavimento. 
    “O Grande di Potenza, Signora della Distruzione.
     O Dama dell’Orizzonte che lava i suoi coltelli,
     io sono giunto qui munito di magia…”  le parole gli irruppero nel cervello con la violenza di un sasso lanciato con la fionda, ma non sortirono l’effetto che s’aspettava da loro: Aa-hit era sempre lì, minacciosa e determinata ad impedirgli l’accesso oltre quel Pilone.

Djoser conosceva bene la sua natura e la sua funzione: era una delle Madri-degli-Antichi che Osiride aveva messo a protezione dei confini dei suoi Giardini.
Djoser era terrorizzato. Le risorse del suo animo, diceva sempre il venerabile Hetpher, erano insospettabili e fu a quelle che si aggrappò in quel momento. Con accento di sfida sollevò il bastone che il Venerabile gli aveva messo nelle mani e con quello rintuzzò la canna della Dama del Pilastro.
Seguì un tuono: la risata della Dama. Riverberò intorno a lui, avviluppandolo in una spirale; il braccio ustionato ardeva di indicibile dolore e quando il bastone gli cadde di mano e finì per terra, il ragazzo si sentì perduto e si curvò in avanti.
L’ombra di Aa-hit piombò su di lui come una massa scura, ma un’altra ombra, più larga ancora e più scura, inghiottì la sua e quella della Dama; il ragazzo non osò nemmeno sollevare il capo.
Il suo sguardo, fisso al suolo, seguì la forma scura che andava delineandosi per terra, nitida e chiara.
La prima cosa che distinse fu la sagoma di una mano armata di hedy, mazza da combattimento degli antichi guerrieri, poi vide un gigantesco scorpione che gli fece fare un sobbalzo indietro.
“SeleK-Hor!” proruppe.

brano tratto da    "DJOSER e i Libri di Thot"

nelle miglioro librerie, presso  MONTECOVELLO EDITORE oppure  AMAZON
 o direttamente AUTOGRAFATO  con DEDICA ed OMAGGIO  direttamente
presso l'autrice      mariapace2010@gmail.com

IL KA (fantasma) DI NSITATEN

                                                    IL  KA (fantasma)  DI  NSITAMEN

 Un quarto di luna offriva un pallido chiarore; sufficiente, però, per ammantare di ombre inquietanti la necropoli ad oriente della Piramide di Khufu. Non quella parte che ospitava le hut-kau di Nobili e Dignitari, le grandi tombe sempre provviste di offerte e con l’immagine del proprietario incisa su una lastra di pietra, sontuose e bene allineate. La debole luce di quel quarto di luna lasciava in penombra le pendici delle montagne, la cui sola luce proveniva dalla fiamma dell’unico tripode che la brezza notturna faceva tremolare. Laggiù, scavate nella roccia, c’erano tombe modeste e disadorne. C’era anche la tomba in cui l’architetto Pthahotep aveva sepolto sua moglie Nsitaten prima di partire con Djoser per l’esilio di Sais.
Fra tumuli e fosse, Djoser si aggirava trascinando uno slittino, Avanzava a fatica, ma determinato. Avanzava solitario, perché in quella parte del cimitero le guardie avevano poco da proteggere. E avanzava silenzioso, essendo, lo stridore dello slittino contro i sassi, il solo rumore.
Due enormi roditori gli sfrecciarono davanti facendolo sobbalzare.
“Djet h Neheh!.. come dice l’amico Mosè. – proruppe, lanciando una rapida occhiata intorno – Topi così grossi e ben pasciuti metterebbero in fuga il più famelico dei gatti… Coraggio, Djoser… Non lasciamoci distrarre dal nulla.”
A circondarlo era davvero il Nulla, poiché non c’era alcun rumore: inutile tendere l’orecchio per sorprenderne uno qualsiasi: un bisbiglio, un sussurro. Nulla. Neppure il rumore dei granelli di terra smossi dall’aria. Ed era veramente solo. Solo in mezzo a pietre che evocavano storie di vite vissute; pietre che raccontavano la pietà di uomini verso altri uomini. Pietre misere, forse, ma capaci di proteggere il Grande Mistero: la partenza da questo Mondo per  il Mondo-di-Sotto.
Già una volta si era trovato in una circostanza simile. Era consapevole di ciò che stava facendo e dei rischi che stava correndo. E non era il castigo degli uomini che temeva; di ben altra sostanza era il suo disagio, perciò cominciò a recitare:
   “Voi che fate entrare le Anime-Bau nella dimora di Osiride,
    fate entrare con Voi l’Anima-Ba di Nsitaten.
   Voi, che aprite i Cammini per Osiride…”
Un soffio leggero gli sfiorò il collo; rabbrividì, ma proseguiì:
    “Oh Unico, che Ti alzi nella Luna, salute a Te.
     Che a Nsitaten siano sempre aperte le Sekhet della Duat...”
“Djoser…”
Una voce lo sorprese alle spalle; deglutì a fatica e arrestò immediatamente il passo, andando ad inciampare contro una sporgenza del terreno. Riuscì a conservare l’equilibrio, ma il respiro divenne rapido e veloce come l’ansimare di una bestia in trappola.
Il riflesso della luna sullo spigolo della grande Piramide del faraone Khufu gli illuminò la faccia: non aveva bisogno di frugare nella mente per riconoscere quella voce.
“Madre…” invocò; l’orizzonte davanti a lui era livido e i suoi occhi lo sfiorarono sgomenti.
“Non  spaventarti, figlio mio adorato... Sono qui. Dietro di te.”
Djoser si girò, tremante della più violenta emozione: dietro di lui, attraversata dal timido bagliore della luna, vide la figura evanescente di sua madre Nsitaten.
Non era l’immagine luminosa che gli era apparsa alla Laguna-della-Doppia-Fiamma, nel Mondo-Di-Sotto, quando gli era venuta incontro insieme al maestro Pthahotep, ma era sempre giovane e bella. Così come la ricordava: la madre più bella del mondo.
Stava immobile di fronte a lui, con sguardo amoroso. Verdi bagliori partivano dall’amuleto Uay, in porcellana smaltata e a forma di papiro, che le pendeva sul petto. Glielo aveva messo al collo il padre prima di chiudere il suo corpo fra le bende per assicurarle vigore ed eterna giovinezza.
“Madre!” gemette e e non si accorse di piangere, fino a quando non sentì il sapore delle lacrime sulle labbra. Si lanciò in avanti. Il gesto impetuoso lo fece inciampare contro lo slittino. Si rialzò e tese nuovamente le braccia, ma si ritrasse spaventato: il contatto con la luminosa superficie di quell’amuleto gli aveva bruciato la pelle.
Djoser lo fisso terrorizzato.
“Non aver paura, figlio adorato. – lo rassicurò la figura evanescente, chinandosi a soffiare sulle dita dolenti, così come faceva quand’era bambino e si sbucciava un ginocchio – Non ti arrecherà alcun danno. Non può nuocere ad un puro di cuore e tu, figlio mio, sei puro come il respiro della Celeste Nut.”
“Ma... –  replicò il ragazzo – sembra di fuoco.”
“Era di fuoco. – spiegò sorridendo il fantasma di sua madre – Era una fiamma divorante quando ha contrastato le malvagie intenzioni del Distruttore-di-Cuori.”
“Hai incontrato il Distruttore-di-Cuori?” s’impressionò Djoser.
“Oh! – sorrise lei, nel modo più celestiale che il ragazzo immaginava si potesse sorridere – Il Ka di tua madre attraverserebbe le lande più desolate del Mondo-di-Sotto e anche del Mondo-di-Sopra ed affronterebbe Demoni e Spiriti malvagi per poterti vedere anche un solo istante.”
“Il tuo Ka? – la interrupe il ragazzo – Non capisco, madre.”
“Questo che vedi davanti a te, figlio mio, non è il Corpo-di-Gloria di tua madre. Non è il Glorioso-Akh che hai incontrato allo Stagno-di-Fuoco, Di-Sotto. Quello è rimasto agli Hotep-Jaru. Questo che vedi è solamente lo Spirito di tua madre.”
“Che cosa ci fa lo spirito della mia adorata madre fuori della tomba? E’ in cerca d’acqua e cibo? Le ultime offerte deposte non erano sufficienti alle tue necessità? Quale figlio snaturato lascerebbe girovagare lo spirito di sua madre in cerca di cibo?”
“Oh!... Il mio Akh vive felice nei Giardini-di-Osiride. Non gli manca nulla. Nè cibo, né acqua e neppure fiori, che rallegrano la vista. - il fantasma di Nsitaten ebbe un sorriso che le riempì  lo sguardo di faville - E non manca nulla neppure al mio Ka, che vive nella hut-ka, grazie a te, figlio mio, Anima della mia Anima!”
“Oh! – proruppe Djoser – Avrei voluto essere io a chiudere i tuoi occhi quando il soffio di Anubi ha toccato le tue palpebre, madre…” s’interruppe per trattenere un singhiozzo.
Il fantasma di Nsitaten sorrise ancora.
”Non ero da sola. Tuo padre era con me ed ora che anch’egli mi ha raggiunto, ogni giorno noi due varchiamo insieme i Cancelli di Geb per venirti incontro.”
“Oh, madre mia. – la interruppe Djoser – Io voglio che voi due siate uniti anche qui, come lo siete nel Mondo-di-Sotto.”
“Lo sai, figlio mio! Queste sono le leggi stabilite dagli Dei: la hut-ka, in questo Mondo, per accogliere il corpo e i Sekhet-Jaru, nell’Altro, per accogliere i Gloriosi-Akh!”
Djoser non la lasciò proseguire.
“E’ una cosa che tuo figlio non può più accettare, madre. Il giorno in cui lasciammo Sais, fu perché il caro padre sentiva avvicinarsi il tempo stabilito per lui dagli Dei e voleva che la morte lo ricongiungesse alla tanto amata compagna della sua vita. Quel giorno, madre mia, io giurai a me stesso che nessuno mai, su questa terra, avrebbe tenuto separati i vostri  corpi.”
Nsitaten ebbe un lungo sospiro.
“Vengo qualche volta a fare visita alla casa-eterna che tuo padre preparò per il mio corpo-sahu, qui nella necropoli…”
“Il maestro voleva per te  una casa più dignitosa.”
“Lo so, figlio mio. Lo so! Non angosciarti per questo.”
“Ero un  bambino, allora, – Djoser scosse il capo - ma ora molte cose sono cambiate nella vita di tuo figlio, madre, e…”
“Oh, Djoser, figlio adorato, non vorrai fare qualche pazzia?”
“Io voglio solo riparare all’ingiusta sorte che il Destino ha riservato ai miei genitori: da questa notte non vi mancherà nulla, là dove andrete a vivere insieme.”
Un luccichio comparve negli occhi del fantasma di Nsitaten, quasi di pianto. Così luminoso, così carico di splendore, che perfino il riflesso della luna, restituito dalla superficie abbagliante della piramide di Khufu, alle loro spalle, pareva un timido bagliore.
“So che cosa vuoi fare, figlio mio. So, che cosa stai facendo… e te ne sono grata. Te ne siamo grati tutti e due, io e tuo padre, ma io sono qui per pregarti di  rinunciare dal tuo proposito, che è lodevole ma pericoloso....Oh, Djoser, piccolo mio, io devo andare… Vorrei restare per convincerti a non fare pazzie, ma non posso fermarmi. La Dea-del-Silenzio mi chiama. De … devo an... anda…”
Prima ancora di terminare le sue parole, lo spirito di Nsitaten si dissolse nell’ombra.
“Madre…” cercò invano di trattenerla il ragazzo, con lo sguardo lucido  di lacrime non trattenute.
(continua)

brano tratto dal libro di Maria Pace:   "DJOSER e i Libri di Thot"
SOCIETA' EDITRICE MONTECOVELLO

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